Dopo la morte di Berlusconi la Meloni non rischia: ecco i suoi angeli custodi

I due sottosegretari Giovanbattista Fazzolari e Alfredo Mantovano lavorano di concerto con il capo di gabinetto Gaetano Caputi e il segretario Carlo Deodato

Di Angelo Maria Perrino
Politica

Il governo non rischia, la Meloni ha i suoi quattro angeli custodi

È a rischio la stabilità del governo dopo la morte di Silvio Berlusconi e il disorientamento dentro Forza Italia, che controlla un 8% determinante per la maggioranza di centrodestra? A palazzo Chigi si mostrano tranquilli. Sono convinti che la navigazione di Giorgia Meloni non ne soffrirà. Il ragionamento che si fa è inoppugnabile: i parlamentari di Forza Italia non hanno alcun interesse a creare problemi al governo poiché sanno che un'eventuale conseguente turbolenza potrebbe portare a elezioni anticipate con il loro più che probabile suicidio. Quindi, come già accadde nella scorsa legislatura con i grillini, senatori e deputati di Forza Italia orfani di Silvio saranno paradossalmente degli elementi di continuità e stabilità e non di rottura.

Ovviamente si guarda con attenzione a quel che accade tra gli Azzurri. Si attende la lettura del testamento di Berlusconi per escludere accordi particolari tra il Cav., i suoi figli e la sua compagna. Ma si ritiene che Marina, l'unica tra gli eredi che in passato è stata citata come possibile candidata,  non scenderà in campo avendolo escluso anni fa e preferendo mantenere il suo ruolo manageriale nelle aziende di famiglia. Si scommette dunque su una continuità gestionale del bravo e affidabile Antonio Tajani, pienamente ingaggiato nel ruolo di vicepremier e ministro degli Esteri.

Semmai si ipotizza un cambio di nome, essendo Forza Italia considerato un brand troppo identificato con il fondatore. Meglio modificarlo in Partito Popolare, una sigla che potrebbe aggregare i moderati del centro, mantenendo il posizionamento di componente moderata e popolare dell'Alleanza, forte della parentela col Partito Popolare europeo. Né è ipotizzabile che arrivi dalla Lega la fibrillazione della maggioranza. Che interesse politico può avere Matteo Salvini a fare il guastafeste di un governo di cui la Lega è magna pars?

I quattro angeli custodi di Palazzo Chigi

Si veleggia dunque con realistico ottimismo nel team di Palazzo Chigi di Giorgia Meloni, una squadra molto coesa al suo interno dove quattro numeri uno hanno trovato un perfetto equilibrio tra di loro, grazie alla chiara distinzione di ruoli e compiti, voluta dalla premier, che consente di evitare scontri, gelosie o lotte di potere. "Ciascuno di noi ha un incarico e non invade mai il terreno dei colleghi di Gabinetto". Ma chi sono i quattro angeli custodi di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi?

C'è il politico, Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario all'attuazione del programma, da 20 anni a fianco di Giorgia, tenutosi però rigorosamente lontano dalle questioni di partito, come candidature o altro. Parla con Giorgia tutti i giorni ma solo delle cose che gli competono: "Se vuoi parlare di Btp eccomi, se vuoi fare il sindaco di Roccacannuccia non sono io il tuo interlocutore", dice a chi impropriamente bussa alla sua porta.

Poi c'è l'altro sottosegretario Alfredo Mantovano, magistrato e interfaccia istituzionale di organismi esterni come la Corte dei Conti o il Quirinale. Accanto ai due "politici", due grand commis di esperienza e curriculum: Gaetano Caputi è il capo di gabinetto, podista instancabile che corre tutte le mattine e che ha chiesto da subito di potersi assentare nei giorni della maratona di New York. Per conto di Giorgia tratta i grandi dossier e si interfaccia con le aziende. Infine Carlo Deodato è il segretario generale di Palazzo Chigi.

"Tranquilli, non ci pestiamo i piedi tra di noi", dicono ad Affari al primo piano di Palazzo Chigi. "Nessuno di noi concepisce l'incarico come posizione per contare", ci spiegano smentendo drasticamente qualche voce maligna che ha parlato di dissidi interni. Al contrario: informazioni condivise in tempo reale attraverso una chat interna, molta stima e amicizia tra i singoli. Diversamente dal passato quando magari il capo di gabinetto o il sottosegretario alla presidenza erano di un partito diverso da quello del premier ed era facile che ne nascessero rivalità e contrapposizioni interne al team.

Nessuno frequenta salotti, niente interviste "neanche sotto tortura”, una sana predisposizione per il low profile. Tratti insoliti in quel milieu romano, che hanno lasciato senza un aggancio e quindi a digiuno i consolidati circuiti del potere capitolino. Il capo di Gabinetto ha auto e autista assegnati dal ruolo, ma finora non li ha mai usati, preferendo arrivare a palazzo con la sua Smart.
 

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