Il Maurizio furioso: la memoria corta di Landini fa a pugni con la realtà
Il segretario della Cgil se la prende con il governo sul dl Lavoro, ma scorda che ai sindacati spetta proteggere i lavoratori e non solo gli iscritti
Maurizio Landini spara contro il governo sulla precarietà del lavoro, eppure dimentica il ruolo del suo sindacato
Maurizio Landini è un tipo vendicativo. Se l’era legata al dito per la convocazione del 30 aprile che gli aveva rovinato l’ennesimo ponte e soprattutto ha vissuto il Consiglio dei Ministri di ieri in cui è stato approvato il fondamentale decreto lavoro come un insopportabile insulto personale fattogli da Giorgia Meloni.
Il 1° maggio è sacro, è roba solo sua e la politica non deve rubargli la scena. E così, alla prima occasione utile, ha sparato ad alzo zero, da quel di Potenza. Quindi messosi gli occhialoni, sputatosi sui pollici, ha accarezzato il grilletto ed ha fatto fuoco, ma non ha centrato il bersaglio: “Il metodo non può essere quello di essere chiamati, dopo quattro mesi, la domenica sera quando hanno già deciso. Se vogliamo dare un futuro al nostro Paese e all’Europa bisogna avere un progetto, una strategia. E questo non sta avvenendo. Oggi la nostra è una Repubblica fondata sullo sfruttamento, sulla precarietà e sulla povertà. C’è bisogno di fare una battaglia”.
Ma la domanda, in verità piuttosto semplice, è: ma lui, la CGIL, i sindacati, la trimurti, dove cavolo erano quando in tutti questi anni di governi amici la precarizzazione del lavoro è diventata stellare? Forse il Maurizio furioso si è dimenticato del compito primario che dovrebbero avere i sindacati e cioè proteggere i lavoratori e non solo i loro iscritti.
La memoria corta di Landini si scontra con la realtà
Forse il Maurizio furioso si è scordato che la precarizzazione stellare è un frutto dovuto a Massimo D’Alema, segretario dei Ds. Forse il Massimo Furioso si è scordato che l’abolizione dell’articolo dello statuto dei lavoratori, di Gino Giugni, è stata fatta da Matteo Renzi, segretario del Pd che ora su Il Riformista, che da domani dirigerà, si straccia le vesti pro lavoratori. Che faccia tosta il Matteo nazionale e che memoria corta il Landini furioso.
E poi svela il motivo dell’iniziale supposto (da lui) feeling tra la Meloni e la CGIL: “Noi abbiamo invitato Giorgia Meloni a Rimini perché abbiamo chiesto al governo di cambiare politiche quindi è venuta al congresso, è stata gentile ma sta facendo delle cose che vanno in un’altra direzione, che non è quella di cui ha bisogno il Paese. Ci vuole una strategia, la gente non arriva a fine mese, non si può essere poveri lavorando, i giovani sono precari e molti se ne devono andare in un altro Paese”. Traduzione: “Abbiamo provato ad arruffianarcela come facciamo di solito ma quella non c’è stata”.
Insomma, siamo alla "gente che non arriva a fine mese”, cosa risaputissima e tristissima, ma che quando la tira fuori un sindacalista vuol dire che è arrivato alla frutta ed oltre. Le intemerate di Landini nel giorno simbolo del 1 maggio sono solo una livida reazione personale, niente di politico, niente di sindacale. Un Landini che ha preso una gengivata e vuole a tutti i costi restituirla alla Meloni, che però come l’eroina di Kill Bill di Tarantino non solo schiva il colpo ma, munita di affilata spada, rintuzza e gode della reazione scomposta del Maurizio furioso che mena colpi a vuoto.