Manovra "deludente", il Cdx perderà 1 mln di voti. In crescita... Le stime
Le conseguenze della Legge di Bilancio per il 2024 sulle intenzioni di voto dei partiti
Due o tre punti in meno per l’attuale maggioranza, un punto e mezzo in più per il centro (le formazioni di Renzi e Calenda), un punto e mezzo o due in più per il M5S
Di Alessandro Amadori, politologo e sondaggista
Con la fine dell’estate, le forze politiche entrano nel vivo di una questione fondamentale: quella di definire i contorni della prossima manovra economica. Come sappiamo, i margini di movimento sono stretti, perché è proprio dall'economia (sia italiana che mondiale) che arrivano fattori di criticità: il timore di una recessione che potrebbe riguardare l’intera Europa, il rallentamento della Cina, i prezzi del petrolio in netto rialzo dopo gli accordi in seno all'Opec (l’organizzazione dei produttori) per frenare la produzione, le borse in discesa.
Ci saranno, a quanto si dice, alcune misure “di bandiera”: nuovi sostegni per arginare il caro bollette), un bonus benzina per i redditi più bassi, un'ulteriore stretta sul superbonus. Ma i partiti della coalizione di maggioranza stanno già pensando alla campagna elettorale per le prossime europee (primavera 2024), e avanzano richieste molto più impattanti: per esempio, misure per il lavoro, le imprese, il sostegno alle famiglie e alla natalità, la riduzione delle tasse, una maggiore autonomia regionale, un ulteriore taglio del cuneo fiscale, l’aumento delle pensioni minime. Poiché le misure che si potranno prendere saranno decisamente meno importanti di quelle che i partiti vorrebbero, viene spontaneo chiedersi che impatto avrà la manovra sul consenso verso i partiti stessi. Partendo dall’ipotesi che si tratterà di una manovra sostanzialmente “deludente” rispetto alle promesse, fatte e da fare, in campagna elettorale.
Dal punto di vista demoscopico, ad assorbire di più il “prezzo” della delusione dovrebbe essere il partito di maggioranza relativa, ossia FdI. Che, di qui a fine anno, potrebbe perdere un punto percentuale abbondante nelle intenzioni di voto, riportandosi a quota 28. Mezzo punto percentuale potrebbe essere invece il calo per la Lega, che potrebbe provare a recuperare terreno su altri temi importanti per l’elettorato (per esempio, ridando vigore al suo storico cavallo di battaglia elettorale, ossia l’immigrazione). Sostanzialmente invariata dovrebbe rimanere Forza Italia, meno esposta sul piano demoscopico relativamente alla manovra economica in questione. Un altro mezzo punto potrebbe essere sottratto alle formazioni minori. La coalizione di centro-destra dovrebbe insomma perdere fra i due e i tre punti percentuali (approssimativamente un milione di voti). A chi andranno?
Un’ipotesi di lavoro, da verificare le prossime settimane, è che questi voti in uscita dal centrodestra potrebbero in qualche parte confluire sul “centro” (che resterà, nel complesso, un centro medio-piccolo, ma che potrebbe appunto trarre vantaggio da questa fase di stasi progettuale, in campo economico, del centrodestra).
Non ci sono invece al momento elementi che possano far pensare a un irrobustimento a breve del Pd, di cui non è ancora chiaro quale sia il programma economico alternativo a quello del centrodestra.
Potrebbero piuttosto essere i Cinque Stelle a crescere, non per un travaso dal centrodestra bensì per un recupero dall’astensione, a causa del disagio creatosi, in un segmento di elettorato, per il ridimensionamento del reddito di cittadinanza. Un paio di punti percentuali potrebbero essere la misura concreta della crescita per il M5S.
In sintesi, il bilancio finale potrebbe essere questo: due o tre punti in meno per l’attuale maggioranza, un punto e mezzo in più per il centro (le formazioni di Renzi e Calenda), un punto e mezzo o due in più per il M5S; e saldo invariato per il Pd. Certamente, è solo un’ipotesi. Ai sondaggi delle prossime settimane il compito di verificarla empiricamente.