Marco Travaglio, l'uomo di destra passato a sinistra: un caso da studiare
Il direttore del Fatto Quotidiano famosissimo per i suoi “archivi” elogiati dallo stesso Montanelli
Bersani, Travaglio e Sommi contro la Meloni su Canale 9
Ieri sera la “triplice” e cioè l’ex ministro dello Sviluppo economico Pierluigi Bersani, il direttore de Il Fatto Quotidiano Marco Travaglio e il conduttore di “Accordi&Disaccordi” (Canale Nove) Luca Sommi, hanno attaccato il governo e Giorgia Meloni. Travaglio, come al solito, non vedeva l’ora di sganciare le sue mini bombette al fosforo non su un fatto concreto, e cioè il decreto sul lavoro, ma sulla politica del centro – destra in generale.
Solo che per fare questo occorre avere idee politiche chiare e Travaglio sconta sempre la sua origine. Uomo di destra, sia pur liberale, viene miracolato dall’incontro con Indro Montanelli che lo carica a Il Giornale poi preso da Silvio Berlusconi che diverrà il suo nemico numero uno. Occorrerebbe scrivere una “fenomenologia di Travaglio” perché è un caso di studio. Travaglio non è un uomo di sinistra come Antonio Padellaro. Famosissimo per i suoi “archivi”, elogiati dallo stesso Montanelli, a lui lo ha rovinato Google.
LEGGI ANCHE: Renzi mette in ginocchio Travaglio. Trattativa Stato-mafia, le scuse a Napolitano nella finta foto sul Riformista
È un destro che per campare ha dovuto cambiare forma adattandosi, è diventato un giustizialista, ha fatto carriera all’ombra di Mani Pulite e così si è avvicinato alla sinistra arrivando a scrivere su l’Unità e Repubblica ma con loro non c’entra niente. Deve soffrire molto intimamente Travaglio per fingere di fare il sinistro per mettere insieme pane e companatico a fine mese. Ma veniamo a ieri sera.
Travaglio eccitato come una murena libanese non vedeva l’ora di attaccare il centro – destra e la Meloni rea, a suo dire, di aver provocato l’altra triplice, cioè la trimurti sindacale proprio il primo maggio. Collegato però c’era un alleato scomodo che lo ha trascinato in un abbraccio pericoloso; c’era infatti Pierluigi Bersani, che compare ancora con la scritta “Articolo Uno”. Il raffinato Travaglio – pensiero è che l’infida Meloni non sia neppure “destra sociale” ma che si sia trasformata in una sorta di Thatcher della Garbatella, che ora vuole aiutare solo l’impresa a danno dei lavoratori.
Questo ha dato la stura all’ “uomo dalle vacche in corridoio”, cioè Bersani, a cui non è parso vero di fare il compagno komunista anni ’70. Proprio lui che ha prodotto le famose lenzuolate liberalizzatrici ed ha distrutto il pubblico insieme a Massimo D’Alema, peraltro suo sodale in Articolo 1. Tuttavia Travaglio è in difficoltà. Smania, suda, strabuzza gli occhi, cambia in continuazione posa, cerca il colpo da ko contro la Meloni però non lo trova. Infatti, suo alleato in questa azione è un signore, Bersani, che è stato esponente storico e fondatore di quel Partito democratico che Travaglio odia.
E quindi cerca di ignorarlo, ma Bersani fa faccette, ammicca al direttore de Il Fatto, è come se dicesse: vedi, siamo sulla stessa frequenza, diciamo le stesse cose, fatti baciare. Saluta in maniera scomposta –per farsi notare- come la signorina Silvani nei film di Fantozzi. Ma Travaglio fa il finto tonto, ricambia qualche sorrisetto ma sa che non può concedere nulla perché se no i suoi lettori lo fanno nero. In tutto questo segnaliamo l’imbarazzante figura di Luca Sommi, giornalista parmense, ex Rai e La 7, che non sa più cosa fare per facilitare Travaglio. Gli dà sempre ragione, gli appoggia gli assist, gli prepara le schiacciate. È come quei secchioni che a scuola annuiscono sempre al professore per paura che si arrabbi e li cacci via.
Famoso per una perla sul Fatto Quotidiano (corrispondenza di amorosi sensi) che mise in seria difficoltà Lapalisse: "Le guerre finiscono in due modi, con uno dei due che vince oppure con un trattato per diplomazia". Ma va? E anche la Nove (ex gruppo editoriale l’Espresso), edita da Discovery Italia, divisione della Warner Bros, ormai è diventata una succursale antigovernativa. Dal direttore Aldo Romersa ci si aspetterebbe una maggiore pluralità informativa, almeno per salvare la forma.