Giorgia Meloni va al potere senza abiure, al contrario di Fini

L'ex segretario di AN dice che Meloni “non è fascista” e che ha “votato la svolta di Fiuggi”, ma il suo endorsement ha un senso più profondo

Di Giuseppe Vatinno
Politica

L'endorsement di Fini a Meloni e il suo significato politico

 

Grandi ambasce tra giornalini e giornaloni di sinistra per l’endorsement di Gianfranco Fini a Giorgia Meloni. Qualche giorno fa l’uomo della svolta di Fiuggi che fu il suo segretario ha infatti tenuto una conferenza stampa nella sede della stampa estera. Un'uscita inaspettata, soprattutto per il parterre internazionale presente.

Fini ha voluto rassicurare il mondo che la Meloni “non è fascista” e che ha “votato la svolta di Fiuggi”. Sembrano considerazioni scontate ma non è così soprattutto perché tra Fini e Meloni ci sono state tre fasi.

Nella prima l’ex segretario di Alleanza Nazionale vide delle indubbie qualità nella leader giovanile e la volle addirittura ministro della gioventù in un governo Berlusconi.

Poi ci fu la rottura tra i due quando Fini ruppe anche con Berlusconi con il famoso “che fai, mi cacci?” e di qualche giorno fa invece il ricongiungimento non certo smentito dalla prossima presidente del Consiglio. E neppure si può pensare che Fini abbia fatta questa mossa semplicemente per pietire qualche posto di governo (e non sarebbe possibile) o di sottogoverno (non sarebbe decente). L’endorsement di Fini ha probabilmente un significato ancor prima che politico ideologico. E cioè, per l’ex presidente della camera, si deve essere trattato di un rispettabile travaglio intellettuale.

Per lui, come per Achille Occhetto autore della “Fiuggi di sinistra” e cioè della svolta della Bolognina, si tratta di percorsi evolutivi considerevoli.

Il fascismo come il comunismo sono stati due profondi fenomeni storici che hanno deflagrato “il secolo breve”, per dirla alla Hobsbawm. Due eventi traumatici che poi si sono dovuti istituzionalizzare, che hanno avuto una durata precisa, venti anni per il primo e settanta per il secondo e, soprattutto, che hanno avuto e avranno degli strascichi. La fase della normalizzazione istituzionale è fisiologica, ma implica un maggiore o minore grado di cedimento rispetto alla visione primeva e ideale. Per governare, infatti, ci vuole più pragmatica che filosofia, più burocrati che pensatori.

Ed in genere è questa la fase in cui i movimenti rivoluzionari perdono consensi e si trasformano; il segreto però è nel non trasformarsi nell’esatto opposto e quindi - mentre è fondamentale per una destra moderna criticare le leggi razziali e l’alleanza con Hitler - non per questo poi ci deve essere l’abiura totale quella che portò, per intenderci, a far dire a Fini in Israele che il “fascismo è stato il male assoluto”.

Ma non perché non possa essere vero, ma perché poi perdi completamente il consenso dei tuoi e quella che stai facendo non è più una semplice e fisiologica trasformazione, ma si tratta invece di una amputazione. E se a Fini si dà contezza della inevitabile svolta di Fiuggi, nel contempo, gli si rimprovera un sospetto sovvertimento valoriale che i più smaliziati possono interpretare per opportunismo politico.

Invece la Meloni ha fatto il miracolo e di questo le va dato atto. Ha raggiunto il potere senza svuotare completamente la cambusa ideologica. E quindi, da brava pragmatica, ha individuato da tempi non sospetti la via dell’atlantismo per raggiungere il fine del governo, cosa che, ad esempio, non è stato capace di fare il leader della Lega Matteo Salvini e gli elettori alla fine hanno un’ottima memoria.

Tuttavia la Meloni sta agendo in maniera razionale e saggia. Da un lato si mostra atlantica e anti – russa, come vogliono Washington e Bruxelles ma d’altro lato, questo il punto dirimente, cura ancora i rapporti con la destra spagnola di Vox, per dirne una. Fa questo perché sa che non deve compiacere solo le due capitali di Usa e UE ma anche il suo popolo, il suo ventre ideologico, quel groviglio di istinto e passione e sensualità politica che alla fine muove il mondo. E se la frequentazione di Madrid è certamente e pericolosa ma necessaria più tranquilla è la frequentazione archetipale dei miti fondanti della destar storica. Il Signore degli Anelli di J. R. R. Tolkien, i Campi Hobbit di Pino Rauti.

Non per niente la sua citazione preferita è: "Non tocca a noi dominare tutte le maree del mondo; il nostro compito è di fare il possibile per la salvezza degli anni nei quali viviamo, sradicando il male dai campi che conosciamo, al fine di lasciare a coloro che verranno dopo terra sana e pulita da coltivare." E non per niente, subito dopo la vittoria, la sorella Arianna postò: "Ti accompagnerò sul monte Fato a gettare quell'anello nel fuoco, come Sam con Frodo, sapendo che non è la mia storia che verrà raccontata, ma la tua, come è giusto che sia…".

Fanno male i critici a voler prendere in giro e a rappresentare questi fatti come semplici “fissazioni” nel tentativo di screditare con un input che viene addirittura dal New York Times, ripreso subito dia famigli minori della stampa italiana ideologizzata. Per la Meloni e per i suoi non si tratta di fissazioni letterarie ma di una profonda Weltanschauung. Per adesso la Meloni ha saputo brillantemente bilanciare il tutto, ma la sfida maggiore deve ancora venire.

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