Politica

La Russa, dai camerati di San Babila alla presidenza del Senato. Ritratto

di Maurizio De Caro

Il "generale 'Gnazio" che si è fatto piacere la democrazia. Ritratto del nuovo presidente del Senato

Chi è Ignazio La Russa, presidente del Senato di Fratelli d'Italia

E’ una presenza fissa nelle piazze milanesi da quando difendeva i camerati in piazza San Babila nel settanta, con lo sguardo spiritato e il passo volitivo del maschio italico che non deve chiedere mai, il senatore La Russa, neoeletto Presidente del Senato, finalmente è arrivato all’Empireo, ma ancora non riusciamo ad immaginarlo nelle stanza paludate, silenziose. Anzi.

Lui è un tipo da “sabato fascista”, da lotta nelle strade, e nelle sezioni di periferia, non ha mai disdegnato lo scontro fisico, certo non brutale, ma per la serie qualche schiaffo se ci vuole ci vuole, e lui pare non si tiri indietro.

La Repubblica e la Democrazia se le è fatte piacere, dimenticando - e che italiani saremmo? - fiamma, Almirante, e tutta una serie di addentellati che oggi preferiamo non ricordare. I suoi vecchi e nuovi avversari sono la Ferragni, gli impresentabili, e tutta l’iconografia che spazia da Avanguardia nazionale, Ordine Nuovo (chissà come sarebbe orgoglioso di sua figlia senatrice il Comandante Pino Rauti), e il fascismo light di Forza Nuova, per altro il mondo della destra moderata in Italia non è mai esistita, senza il santino del Principe Junio Valerio Borghese, o del generale De Lorenzo.

Non ci piace molto tutto questo, ma “è la politica bellezza” e i numeri della mini-leader sono stellari e il Generale 'Gnazio è l’anima vera (e nera) della nostalgia canaglia di una destra che non sarà quello che avrebbe voluto, dal colpo di stato del sessantaquattro, allo schiaffo di Fini, alla marce militari nel centro di Milano, dunque sintesi perfetta tra un passato dimenticabile e un presente idealmente e profondamente mistificatorio.

Ma il carattere esuberante del Presidente non conosce regole, non ama l’etichetta (e figuriamoci), ma non conosciamo quale diventerà il nuovo corso istituzionale e governativo, senza la mimetica da comandante della Difesa, perché questo ruolo quasi burocratico potrebbe andargli strettissimo e asfissiante.

Oltre a non piacerci (ma è una critica ponderata, e molto soggettiva) non crediamo in un nuovo corso della nostra vecchia destra, più volte rottamata e mai definitivamente rinnovata, e Il Presidente indica, e dovrebbe rassicurare il vecchi arnesi della politica che con la sua presenza possono stare tranquilli. Il “finismo” è tramontato: la fiamma è risorta, virulenta, ma non troppo, ma tutte le ramificazioni inguardabili potranno avere ascolto all’interno del nuovo megafono senatoriale .

L’Uomo nuovo di mondo ne ha viste tante, ma tante che ci vorrebbero troppe puntate per raccontarle, ora limitiamoci a sorridere amaro guardando il ghigno ferino del grande 'Gnazio, siciliano milanese, interista combattente, complessivamente incredulo rispetto ad un’elezione che chiude il riallineamento tra passato e futuro, probabilmente primo a ricoprire la seconda carica dello Stato dichiaratamente “non antifascista”.

Passerà anche questo, gli italiani continueranno a schierarsi, ma forse per la prima volta le Istituzioni apicali di questo paese, con lui e con la premier, rappresenteranno le cesure dell’elettorato, molto lontane dall’idea dell’inclusione. L’applauso dell’emiciclo più piccolo, con duecento italiani dopo diciannove legislature, o almeno la maggioranza di loro, che acclamano il vecchio avvocato siculo-milanese allo scranno più alto, a dimostrazione che questo paese non solo non ha più memoria civile, ma che è in grado di digerire qualsiasi pasto indigesto.

Senza offesa per il conterraneo Presidente dei Senatori, ma preferiamo ricordargli il motto di ben altro ingegno siciliano Tomasi di Lampedusa “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, appunto come domani, come sempre. Auguri Presidente.