L'Italia sospende i visti d'oro per i cittadini russi dopo un anno di ritardo

La Commissione europea aveva raccomandato di farlo subito dopo l’invasione dell’Ucraina. Così, nell’anno delle sanzioni, i russi sono stati i più "premiati"

a cura di Redazione
Passaporto russo
Politica

L'Italia sospende i visti d'oro per gli investitori russi con oltre un anno di ritardo

A metà luglio 2023, quasi un anno e mezzo dopo le raccomandazioni della Commissione europea seguite all’invasione russa dell’Ucraina, il ministero delle Imprese e del Made in Italy ha sospeso il programma dei cosiddetti “visti d’oro” in cambio di investimenti per i cittadini russi e bielorussi. I "visti d'oro" sono chiamati così perchè offrono alle persone la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno in un paese acquistando una casa in quello stato o facendo un grande investimento o donazione.

Il ritardo tra la Raccomandazione dell'Ue (fine marzo 2022) e la sospensione disposta dal governo (metà luglio 2023) ha fatto sì che lo scorso anno, quello cioè delle sanzioni internazionali (anche) contro gli oligarchi e imprenditori ritenuti vicini alla cerchia di Vladimir Putin o di Aljaksandr Lukašėnka, il nostro Paese abbia rilasciato ad almeno 32 cittadini russi un visto “per investitori” della durata biennale a fronte dei 36 che ne avevano fatto richiesta, come confermano i dati trasmessi dallo stesso ministero alla rivista Altreconomia.

I russi nel 2022 hanno rappresentato la prima nazionalità tra gli investitori premiati dal programma “Investor Visa for Italy”, superando statunitensi (12), britannici (12) e altri 23 facoltosi originari di Paesi extra Unione europea messi insieme (nazionalità che il governo italiano non distingue per ragioni di “privacy”). Inoltre lo scorso anno ha fatto registrare il picco dei “visti d’oro” da quando sono stati introdotti nell’ordinamento italiano attraverso la legge di Bilancio 2017: 79 quelli rilasciati (su 92 richiesti) per un ammontare complessivo di 32,3 milioni di euro. 

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Eppure la Commissione europea aveva espresso profonda preoccupazione già a fine marzo dello scorso anno, cioè un mese dopo l’inizio della guerra, attraverso una raccomandazione che riservava parole durissime ai “Programmi di soggiorno per investitori nell’Unione europea” e a quei dorati “residence schemes” che permettevano, anche a colpo di “riciclaggio, evasione fiscale e corruzione”, di muoversi indisturbati nell’area Schengen.

Programmi del genere, scrisse la Commissione, “possono aver comportato e possono ancora comportare un accesso privilegiato al territorio e al mercato interno dell’Unione Europea e alla circolazione nell’area Schengen di cittadini russi o bielorussi che sono o diventeranno soggetti alle sanzioni dell’Ue” per via dei loro rapporti con il governo di Mosca o con quello di Minsk. Ecco perché, data la difficoltà di svolgere adeguati controlli di sicurezza e un’approfondita due diligence, la Commissione aveva invitato i Paesi membri, Italia inclusa, a sospendere immediatamente quei programmi per russi e bielorussi, “senza pregiudicare” naturalmente la possibilità che facessero ingresso nell’Ue cittadini russi e bielorussi mossi da “ragioni umanitarie o di protezione internazionale”. Peccato che non sia andata affatto così. 

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