Riforme, Meloni accelera. Premierato e "norma anti-ribaltone". Esclusivo

Riforme istituzionali, non ci sarà la vera e propria sfiducia costruttiva come in Germania. I dettagli

Di Alberto Maggi
Politica

Accelerazione sulle riforme. Il piano di Meloni. Si andrà al referendum

 

Vertice all'ora di pranzo a Palazzo Chigi sulle riforme istituzionali, che, dopo un lavoro durato tutta l'estate di ascolto e incontri da parte della ministra Elisabetta Alberti Casellati, arriverà molto presto in Consiglio dei ministri (quasi certamente già questo venerdì o, al più tardi, settimana prossima) per poi cominciare il suo iter in Parlamento. Giorgia Meloni ieri ha scritto un messaggio alla riunione della Democrazia Cristiana (che sopravvive sotto l’egida di Gianfranco Rotondi): “Abbiamo sulle nostre spalle una responsabilità storica, consolidare la democrazia dell’alternanza e accompagnare finalmente l’Italia, con la riforma costituzionale che questo governo intende portare avanti, nella Terza Repubblica”.

Ormai ci siamo. Si parte. Ma il punto chiave, come confermano ad Affaritaliani.it fonti di governo ai massimi livelli ci sarà una norma antiribaltone: se cade il premier non si va automaticamente ad elezioni, non c’è quindi il principio del “simul stabunt simul cadent” - come voleva Giorgia Meloni - ma non ci sarà nemmeno la sfiducia costruttiva vera e propria, che esiste in molti Paesi come la Germania, ovvero la possibilità di sfiducia nei confronti del premier eletto dal popolo solo nel caso in cui ci sia già pronta un'altra maggioranza con un altro primo ministro. 

In sostanza - secondo quanto Affaritaliani.it è in grado di rivelare - la riforma del governo prevede una specifica "norma anti-ribaltone": se dovesse cadere il premier eletto dal popolo, prima di andare alle elezioni, si dovrà riprovare a ricostruire la maggioranza o con lo stesso premier o comunque con un altro esponente della stessa maggioranza scelta dai cittadini con il voto. Per fare un esempio con l'attuale esecutivo, se Meloni dovesse cadere, a Palazzo Chigi potrebbe andare un altro politico di Centrodestra e soprattutto senza il cambio della maggioranza. Impossibile quindi togliere un partito e sostituirlo con un altro.

Politicamente, con questa proposta, nessuna opposizione tranne i pochi parlamentari rimasti con Matteo Renzi saranno pronti a votare il provvedimento. Carlo Calenda, che aveva aperto al premierato, aveva condizionato il suo eventuale sì proprio alla sfiducia costruttiva vera e propria, come in Germania.

E, considerando il no deciso e chiaro di Pd e M5S, è ovvio che non ci saranno i due terzi né alla Camera né al Senato. E, di conseguenza, si andrà al referendum popolare previsto dalla Costituzione per confermare la riforma in assenza di una maggioranza qualificata. Un rischio ricordando quanto accadde nel 2016 a Renzi che, perdendo clamorosamente il referendum sulle sue riforme istituzionali, fu costretto a dimettersi.

Ma Meloni è convinta che non ci saranno problemi e che, anzi, il referendum sarà su se stessa e la rafforzerà ulteriormente. Anche perché, una volta riformata la Costituzione, l'intento della presidente del Consiglio è quello di andare subito al voto e tornare a Palazzo Chigi con maggiori poteri. Considerando i tempi tecnici - due passaggi sia a Montecitorio sia a Palazzo Madama - è ipotizzabile il referendum popolare nel 2025 e le elezioni politiche con la nuova Carta riformata all'inizio del 2026 (un anno e mezzo prima della scadenza naturale della legislatura).

Ma c'è dell'altro. Politicamente Meloni vuole la "norma anti-ribaltone" per evitare "trappole" o "giochi" da parte degli alleati di Centrodestra. "Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio", spiegano da FdI. Bene, dunque, evitare sorprese del tipo un ritorno della Lega con il M5S o, soprattutto, un possibile, futuro, asse di Forza Italia con partiti di centro ed eventualmente con il Pd.

Tutti ragionamenti futuri, certo, ma meglio prevenire che curare, quindi la linea della leader di FdI è chiarissima e non si torna indietro. La "norma anti-ribaltone" è comunque un compromesso nella maggioranza tra la linea di Meloni (al voto subito se cade il premier eletto dai cittadini) e la sfiducia costruttiva alla tedesca che volevano in particolare Lega e Forza Italia.

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