"Schlein rincorre in modo spasmodico Landini". Intervista a Enrico Borghi

Ci saranno altre uscite? "Dubbi e perplessità diffuse"

Di Alberto Maggi
Politica

Parla Borghi, l'uomo che ha lasciato il Pd per Renzi


“Le misure proposte dalla segretaria del Pd in materia fiscale e la sua rincorsa quasi spasmodica alla Cgil confermano alla lettera l’analisi che mi ha portato ad uscire da un partito che non ha più nulla a che vedere con quello che fondammo nel 2007". Inizia così l'intervista di Affaritaliani.it a Enrico Borghi, ex membro della segreteria del Pd di Enrico Letta che qualche giorno fa ha lasciato i Dem per entrare in Italia Viva.

Elly Schlein ha rilanciato la patrimoniale, su questo è d'accordo o è un'altra mossa massimalista?
“Le misure proposte dalla segretaria del Pd in materia fiscale e la sua rincorsa quasi spasmodica alla Cgil confermano alla lettera l’analisi che mi ha portato ad uscire da un partito che non ha più nulla a che vedere con quello che fondammo nel 2007. Quello era il partito che credeva nella crescita economica e nell’equa ripartizione della ricchezza come obiettivi non in conflitto, ma che al contrario attraverso lo sviluppo si sarebbero realizzate le condizioni per la giustizia sociale. Il nostro Pd era il partito che si ispirava ad Olof Palme, al concetto di dover essere contro la povertà, non contro la ricchezza, la quale non è una colpa da espiare ma un legittimo obiettivo da perseguire nel quadro della responsabilità che da essa scaturisce. Il “nuovo Pd” è, con tutta evidenza su un altro versante.

Al Lingotto avevamo detto che non era con gli odi di classe che si sarebbe sconfitta la piaga dell’evasione fiscale, e che artigiani, commercianti, piccoli imprenditori quando sono leali con il fisco pagano molto, troppo. E quindi serviva, e serve, una riforma fiscale seria, che tenga lontane le sirene  di destra che promettono una flat  tax incostituzionale e irrealizzabile e quelle di sinistra radicale che richiedono un aumento della pressione fiscale. Questo è il riformismo. Insieme con un rapporto maturo con le organizzazioni sindacali. Rincorrere la Cgil nelle piazze, farsi chiamare a raccolta, portare il sindacato su un terreno che non è il suo è un altro sintomo della malattia che ha colpito il Pd. Un tempo si parlava della “cinghia di trasmissione”, oggi sembrerebbe che qualcuno la voglia rispolverare ma al contrario. Che due partiti dell’opposizione vogliano cavalcare le decisioni sindacali, anzichè rispettarne l’autonomia, per motivazioni connesse anche con i problemi della leadership del “campo largo” non è certo una dimostrazione di lungimiranza politica.”

Crede ancora che Azione e Italia Viva possano stare insieme?
“Credo che esista una domanda nella società di una rappresentanza  da parte di chi non si sente  nè di destra nazionalista nè di sinistra massimalista. E che sia compito di chi siede in Parlamento operare affinchè questa domanda, che è fatta da tante energie che vediamo muoversi sui territori e sul versante culturale, associativo, sociale, si traduca in azione politica. A questo deve servire l’azione parlamentare, che deve essere unitaria. E per questo serve un punto di riferimento che vada oltre il contingente, serve un recupero della dimensione storica e culturale,che è la premessa sulla quale imperniare un pensiero e un progetto per l’Italia. Le forme organizzative verranno dopo. Prima c’è la politica. Come ho avuto modo di dire, e lo ripeto, paradossalmente la crisi di queste settimane può essere di crescita se sgombra il campo dalla tentazione del partito personale e apre alla dimensione di una risposta collettiva a un bisogno di rappresentanza politica. Una risposta alla quale bisogna lavorare, con umiltà e pazienza”.

Pensa che ci saranno altri addii dal PD dopo il suo è quelli di altri esponenti?
“Non ho la sfera di cristallo, e certamente non organizzo nessuna scissione, nessun proselitismo, nessuna fronda. Nella mia scelta va letta anche la volontà di venire incontro al disagio che ho sentito salire da molti che si sono sentiti disorientati. Non ho certo la pretesa di rispondere da solo a tutto ciò, ma in politica bisogna agire. Il Pd è passato dai 12 milioni di voti assoluti del 2008 ai 5 milioni del 2023, dagli oltre 3 milioni di voti delle prime primarie per il segretario al milione di febbraio. 7 milioni di voti in meno alle elezioni, 2 milioni di cittadini in meno alle primarie. La risposta a questa crisi è stato il rinserramento a sinistra, la retorica del “ricongiungimento familiare”, l’eliminazione del concetto identitario di sè di soggetto di centrosinistra, elemento concepito come addirittura corruttivo di una presunta ortodossia di sinistra e in quanto tale foriero delle sconfitte elettorali. Credo che questa deriva produrrà dubbi e perplessità diffuse, che si uniranno a quelle del passato. A tutto questo non possiamo assistere inermi, per non consegnare alla destra di Giorgia Meloni una rendita di posizione politica ed elettorale. A questi elettori di centrosinistra delusi, e a quelli che hanno votato a destra e che scopriranno presto il bluff, va data una chance per sentirsi nuovamente a casa sul piano della rappresentanza”.

Tags:
enrico borghi pd schlein