PEC del fisco: la Cassazione dice quando sono nulle

Dott. Danilo Romano
Fisco e Dintorni

Dopo la sentenza del Tribunale di Lecce del luglio scorso che aveva sospeso un pignoramento esattoriale da quasi 1 milione di euro perché le cartelle sottostanti erano state inviate da un indirizzo pec “sconosciuto”, la Cassazione è tornata sull’argomento per chiarire quando le notifiche pec del Fisco sono illegittime.

 

Con ordinanza n.6015 del 28.02.2023 i giudici della Suprema Corte si sono espressi in merito alla notifica degli atti esattoriali a mezzo pec. Nello specifico, i giudici hanno chiarito la questione relativa all’invio di atti esattoriali da parte del Fisco attraverso un indirizzo di posta elettronica certificata non presente in pubblici registri (come ad esempio www.indicepa.gov.it ).

Sul punto, ricordiamo che il Codice della Pa digitale (82/2005), all’art. 6-ter prevede la tenuta di un registro dei domicili digitali “nel quale sono indicati i domicili digitali da utilizzare per le comunicazioni e per lo scambio di informazioni e per l’invio di documenti a tutti gli effetti di legge tra le pubbliche amministrazioni, i gestori di pubblici servizi e i privati” validi ai fini di legge.

Detto ciò, i giudici della Cassazione hanno chiarito che “… in tema di notificazione a mezzo PEC, la notifica avvenuta utilizzando un indirizzo di posta elettronica istituzionale, non risultante nei pubblici elenchi, non è nulla, ove la stessa abbia consentito, comunque, al destinatario di svolgere compiutamente le proprie difese, senza alcuna incertezza in ordine alla provenienza ed all'oggetto”.

Ebbene, anche considerando tale pronuncia della Cassazione si ritiene comunque corretta l’ordinanza del Tribunale di Lecce del 19 luglio scorso che tanto scalpore aveva destato a livello nazionale. Con tale provvedimento, infatti, il giudice – accogliendo la tesi di una società salentina difesa dall’Avv. Matteo Sances – aveva sospeso un pignoramento di Agenzia Riscossione da 800.000 euro, in quanto le sottostanti cartelle esattoriali erano state inviate dal Fisco attraverso pec non presenti in pubblici registri (si veda ordinanza del Tribunale di Lecce).

A sostegno della palese illegittimità delle cartelle esattoriali inviate da indirizzi “sconosciuti”, la società contribuente aveva sempre sostenuto di non aver mai aperto tali pec proprio perché non aveva certezza della validità di tali indirizzi, considerando anche i gravi rischi derivanti da comunicazioni non sicure (come ad esempio virus informatici cd. “malware”).

Ovviamente, tale comportamento del concessionario si ritiene non corretto proprio perché non permette ai contribuenti di avere piena conoscenza degli atti e dunque di svolgere compiutamente le proprie difese.

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