L'avvocato del cuore

Coronavirus e diseguaglianza di genere: cosa fare? L'avvocato risponde

Di Daniela Caputo *

“Gentile Avvocato, sono una donna, madre di famiglia e lavoratrice che ha già risentito dell’impatto letale di blocchi e quarantene. A oggi, se penso al dopo, vedo un’unica via di uscita per far fronte alle numerose esigenze di gestione della mia famiglia: lasciare il lavoro. Sono chiaramente la “parte debole”, sono donna, ho una retribuzione inferiore a quella di mio marito e sono madre di due figli. Mi sento impoverita, discriminata e defraudata, non solo sotto l’aspetto economico, ma anche sul piano delle disuguaglianze di genere. Cosa posso fare per non essere sempre io, donna, a pagare il prezzo più alto?”

Negli ultimi giorni è stata particolarmente accesa e preponderante la polemica sull’assenza della voce delle donne anche nella task force per la fase 2. E’ bene sottolineare, tuttavia, che questo scalpore emerge solo dopo mesi nei quali abbiamo subìto l’imbarazzante carenza di donne all’interno del comitato tecnico scientifico a supporto del Capo della Protezione Civile. Questo dato risulta ancor più mortificante se si considera che quasi il 70% degli operatori nel settore sanitario e socioassistenziale è costituito proprio da donne. Donne che vivono, ogni giorno, sulla loro pelle le difficoltà dell’emergenza, il senso di dovere e fedeltà all’impegno assunto, il desiderio e la speranza di difendere la vita, l’accettazione della sconfitta. Donne che per la loro dedizione alla professione, alla medicina e all’umanità hanno sacrificato le famiglie, acutizzando il senso di colpa verso i figli ai quali, per paura del contagio, non hanno potuto neppure regalare l’abbraccio quotidiano. E’ un momento storico nel quale ci sentiamo tutti più spaesati e un abbraccio aiuterebbe tutti.

Dal 2 maggio divampano sui nostri social network immagini e pensieri di donne (e anche di uomini) che con l’utilizzo dell’hashtag “DateciVoce” esigono il rispetto degli articoli 3 e 51 della Costituzione della nostra Repubblica Italiana e il diritto delle donne a essere rappresentate ai vertici degli organismi che prendono decisioni rilevanti in campo scientifico, sanitario, sociale ed economico. La risposta del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, difensore del politicamente corretto, invece di essere, come dice, l’avvocato di noi italiani, non è tardata ad arrivare e il 4 maggio ha invitato Vittorio Colao (il tavolo di lavoro del quale conta quattro donne su diciassette) all’immediato riequilibrio di genere nella composizione della task force e del comitato tecnico scientifico. Se d’impulso questo risultato può essere percepito come un primo obiettivo raggiunto, come un primo passo per il cambiamento, dall’altro non può fare altro che lasciare l’amarezza, la consapevolezza e la disillusione che il reale risultato della parità di genere è ben lontano dall’essere concretizzato. Ed è proprio in questa fase di ripartenza che dobbiamo rendercene conto e, sin da subito, porre le fondamenta affinché l’uguaglianza sostanziale non sia espressione solo del politicamente corretto, ma l’elaborazione di un naturale processo di maturazione fondato sul merito e contro lo storico spontaneo maschilismo.

A mio avviso non dobbiamo chiedere a nessuno di “darci voce da sé”; questa non è la via giusta per un cambio di mentalità radicale e reale, ma solo un espediente per risolvere sporadici episodi di lampante discriminazione. Bisogna, invece, scavare più a fondo, ripartire dalla singola donna che “deve darsi voce”, da sé, deve imporsi nella sua semplice quotidianità. Bisogna ripartire da donne come Lei, cara Signora, che non devono ravvisare nella famiglia l’ostacolo alla realizzazione e all’ambizione personale. I Suoi sogni, il Suo desiderio di autonomia non devono essere messi da parte perché sente di essere l’anello debole della catena. Altrimenti la progressiva fuoriuscita delle donne dal mercato del lavoro creerà più vittime del Covid-19 e, in un mondo impoverito dalla pandemia, l’incrementarsi delle disuguaglianze sociali sarebbe la vera sconfitta dell’Italia. E allora, donne, “DiamociVoce” imponiamoci e rivendichiamo il nostro posto nella società, confrontiamoci e discutiamo non solo tra di noi, ma anche con gli uomini, con i nostri mariti, con i nostri compagni.

Laddove c’è ingiustizia, c’è sconfitta per tutti, nessuno escluso. Non sostengo l’idea che si debba ripartire “dalle donne”, ma “con le donne”, perché in realtà la battaglia da combattere è uguale per tutti. La lotta per la parità di genere è, infatti, di riflesso, necessariamente la lotta per il rispetto della meritocrazia, delle forze e delle competenze che ciascuno di noi, uomini e donne, mettiamo in campo a disposizione della comunità. Dovrebbe essere compito del Governo supportare e incentivare la battaglia contro le disuguaglianze di genere, soprattutto anticipando e prevedendo le opportune strategie che mettano le donne nella condizione di poter esprimere se stesse sino ai vertici più elevati. Ma le donne siano le prime a considerare se stesse come competenze sociali indispensabili. Sacrificarsi sempre sull’altare della famiglia, giustifica gli interventi buonisti e tardivi di chi avrebbe il potere di decidere in tempo utile. Un intervento ex post, come questo del nostro Governo al rallentatore, è inaccettabile, oltre che inammissibile; così facendo, “la toppa sarà sempre peggio del buco”.

* Studio legale Bernardini de Pace