L'avvocato del cuore
Minori, l'interesse concreto all'adozione speciale
Le questioni più importanti che il giudice deve affrontare quando deve decidere sulla domanda dell’aspirante adottante
L’istituto dell’adozione “speciale” o “in casi particolari”, codificato dall’articolo 44 della Legge n. 184/83, pone non pochi problemi interpretativi al giudice della famiglia. Le questioni più importanti che egli deve affrontare quando deve decidere sulla domanda dell’aspirante adottante sono due.
La prima: è quella di accertare il consenso dell’adottando. Se il minore ha superato i quattordici anni, il suo placet è condizionante l’adozione; se il minore ha compiuto, invece, solo dodici anni, deve essere personalmente sentito dal giudice minorile; se il minore ha meno di dodici anni, deve essere ugualmente sentito dal magistrato che valuterà la sua capacità di discernimento.
La seconda: è quella di accertare l’assenso dei genitori biologici esercenti la responsabilità genitoriale sull’adottando. L’articolo 46 delle Legge n.184/1983, qui di seguito sinteticamente chiosato, dispone:
◊ è necessario l'assenso dei genitori per l'adozione nei casi particolari;
◊ quando è negato l'assenso dei genitori biologici, il tribunale può, ove ritenga il rifiuto ingiustificato o contrario all'interesse dell'adottando, pronunziare ugualmente l'adozione, salvo che l'assenso sia stato rifiutato dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale.
Quindi, il dissenso parrebbe preclusivo dell’adozione e sufficiente a bloccare il perfezionamento dell’iter. Il condizionale è d’obbligo: la Cassazione e i tribunali di merito si sono espressi in modo non sempre uniforme sulla natura ostativa o meno (all’adozione speciale) del dissenso espresso dai genitori. Il discrimine è questo: quando essi “non esercitano” la responsabilità genitoriale, il dissenso non può impedire il perfezionarsi dell’adozione speciale; nel caso contrario sì.
La motivazione offerta da alcune pronunce di legittimità è questa: l’articolo 46 della legge sull’adozione “trova ragion d'essere nella considerazione che solo la comunanza di vita e la conseguente conoscenza degli interessi e delle esigenze del minore rendono rilevante il dissenso”. Di conseguenza: “il rifiuto del genitore che pur deve, ai sensi dell'articolo 46, terzo comma, della Legge n. 184 del 1983, prestare l'assenso, non preclude al Tribunale di procedere all'adozione, ove ritenga il rifiuto stesso ingiustificato o contrario all'interesse dell'adottando”.
La dottrina ha cercato di fare chiarezza su questa questione che non rappresenta un mero tecnicismo o il frutto di una disquisizione dotta tra cultori del diritto, ma può pregiudicare il buon fine della procedura.
C’è differenza lessicale tra l’assenso e il consenso nell’ambito del procedimento di adozione: mentre l’assenso viene concesso o negato dai genitori dell’adottando (così testuale l’articolo 46 della Legge sull’adozione), il consenso è concesso o negato dall’adottante e dall’adottando (così testuale l’articolo 45 della Legge).
Da questa scelta semantica del legislatore, gli studiosi fanno discendere che l’assenso si configura come “un’autorizzazione privata dei soggetti che risentono degli effetti del rapporto di adozione, senza tuttavia essere parti del rapporto medesimo” mentre il consenso come “l’espressione dell’intento manifestato dalle parti medesime in ordine alla costituzione del loro rapporto”.
In parole più semplici, il “peso” dell’assenso e del consenso è diverso. L’assenso - “assicurando rilevanza a interessi diversi e potenzialmente in conflitto con quello del minore” non può non “incidere sull’adozione solo in quanto siffatti interessi appaiano, nella valutazione legislativa, poziori rispetto a quello del minore, quale evidenziatosi nella fattispecie concreta”. Il consenso, invece, “è imprescindibile momento del procedimento e della sentenza”: ergo, senza di esso, la sentenza del giudice sull’adozione speciale è viziata da nullità insanabile.
Nonostante gli sforzi di giurisprudenza e dottrina, la questione rimane controversa. In qualche caso i giudici hanno escluso che il genitore biologico – quando l’altro si è sposato – possa opporsi all’adozione speciale in difetto di argomenti ragionevoli, in qualche altro, invece, hanno ritenuto ostativo il dissenso motivato con l’argomento che il minore si troverebbe, in caso di perfezionamento dell’iter dell’adozione speciale, ad avere o “un secondo padre” o “una seconda madre” (e ciò qualora il dissenso sia espresso, rispettivamente, dal padre o dalla madre biologici).
Resta vero che negare l’adozione speciale del minore per mere ragioni di principio, e cioè perché non si vogliono avere interferenze nella vita di relazione del proprio figlio, è scelta egoista perché l’“astrattezza” dogmatica del diritto (ad esprimere il dissenso) urta contro la “concretezza” dell’interesse del minore.
L’amor filiale, in quest’ottica, potrebbe essere riletto e ripensato come bene “inclusivo”, capace di arricchire l’affettività della famiglia, e non “esclusivo”, e cioè dal quale escludere qualcuno. Nella famiglia ideale c’è spazio per tutti: genitori biologici e genitori sociali. In questa prospettiva, l’adozione speciale è un istituto straordinario finalizzato a rafforzare il mondo degli affetti familiari e implementarlo il più possibile; andrebbe valorizzato e divulgato, senza che venga confuso con l’altro tipo di adozione, “piena” o “legittimamente”, decisamente più popolare.
Studio legale Bernardini de Pace*