Lo sguardo libero
Da Roma a Bruxelles, la colpa di ignorare la protesta dei giovani di Hong Kong
Il leader comunista Xi Jinping potrà rimanere a tempo indeterminato capo dello Stato, del partito unico e dell’esercito
E’ quasi un obbligo morale ricordare e tornare ad appoggiare i giovani di Hong Kong, che sono al sesto mese di protesta. Era lo scorso giugno quando iniziarono a ribellarsi al disegno di legge sull’estradizione, presentato ad aprile nella ex colonia britannica passata alla Cina. Ora la lotta si è trasformata in una richiesta di democrazia e di inchiesta sull’operato della polizia.
Mentre gli studenti sono barricati al Politecnico e oggetto di centinaia di arresti, il quotidiano tabloid della capitale Global Times chiede che si sparino proiettili veri al posto di quelli di gomma. Tuttavia la Cina di Xi Jinping non può permettersi un’altra Tienanmen. La Realpolitik, la politica ricattatoria di Pechino che impone ritorsioni economiche ai Paesi che ospitano il Dalai Lama, la “Nuova via della Seta” (cui ha aderito l’Italia, unico Paese, nel senso negativo, tra le prime potenze economiche), il minuetto dazi/accordi pragmatici e reciproci vantaggi tra gli Usa di Donald Trump e lo Stato comunista, la questione Huawei/tecnologia 5G, determinano l’attenzione dei media, ma non la protesta delle nazioni e delle istituzioni democratiche, da Roma a Berlino, da Parigi a Madrid all’Unione europea.
Non si dimentichi che la Cina è un regime in cui Xi Jinping è al contempo capo dello Stato, dell’esercito e del partito unico, come lo sono stati tutti i leader che lo hanno preceduto, da Mao in poi, ma Xi, se vorrà, potrà continuare a personificare tale immane potere a tempo indeterminato. Ciò a seguito della riforma costituzionale del marzo 2018, che ha eliminato il limite dei due mandati quinquennali. Condizione comunque, complessivamente e incommensurabilmente, inferiore al coraggio incantevole dei giovani di Hong Kong.