Lo sguardo libero

Enrico Letta più che della verità, si preoccupi dell’invidia

Di Ernesto Vergani

L’invidioso etimologicamente guarda di mal occhio

In vista dell’Assemblea di domenica del Pd che dovrebbe eleggerlo segretario, così Enrico Letta scrive su twitter: “Io credo alla forza della parola, nel valore delle parole. Chiedo a tutti coloro che domenica voteranno in assemblea di ascoltare le mie parole e di votare sulla base delle mie parole sapendo che io non cerco l'unanimità ma la verità nei rapporti tra di noi per uscire da questa crisi e guardare lontano".

Fa piacere il riferimento alla forza delle parole. Si spera che con questo intenda quell’idea di linguaggio autorevole, essenziale, morale, che ci hanno insegnato grandi scrittori di tutti i tempi fin da alcuni latini (Cesare, Seneca, Tacito). Alessandro Manzoni diceva che “il linguaggio è una questione morale” (quindi chi si fa scrivere libri da altri è come un ladro).

Più impegnativo il richiamo alla verità, che, non essendo data una volta per tutte, è difficile individuarla e perseguirla volta per volta. A meno che non si sia Dio, che, come noto, sceglie i suoi eletti e il suo popolo. Altrettanto ostico l’obiettivo del confronto, dal momento che l’invidia esiste.

In realtà Letta non aveva bisogno di un simile messaggio. In un periodo in cui un salsicciaio può diventare parlamentare, un influencer con la terza media fa il guru dell’umanità e aspira a vincere il premio Nobel per la Pace, egli sembra avere tutto: serietà, competenza, intelligenza, ironia, lealtà. Di più: poliglotta, professore universitario, borghese, giovane. Tutto ciò non può non suscitare l’invidia di molti. Accolga Letta due consigli: 1 - l'invidioso etimologicamante "guarda male", lo ignori, non lo guardi; 2 - il successo lo merita non chi lo raggiunge, ma coloro che invidiano il medesimo che lo ottiene. Quale stimolo migliore a fare un gran lavoro.