“Rete unica e co-investimento in questo momento sono due cose che dobbiamo tenere separate per capirle - ha spiegato Genna -. Con la rete unica parliamo della potenziale fusione della rete di Open Fiber con quella di TIM; il co-investimento è il progetto lanciato da TIM con il quale l’azienda vuole rinnovare la rete cosiddetta secondaria, cioè quella rete che parte dalle case degli italiani e arriva ai cabinet, ponendo della fibra al posto della vecchia tecnologia in rame".
"Dal mio punto di vista di esperto del settore - ha continuato il giurista - il fatto che TIM abbia annunciato questo investimento di rinnovamento della rete in rame è un fatto positivo, bisogna vedere se potrà essere qualificato come co-investimento sulla base delle norme europee, perché poi questa qualifica fa sì che scattino dei dividendi regolamentari, cioè la possibilità di non applicare più la regolamentazione tradizionale per le telecom. Questo è un passo successivo che da un lato spetta alla valutazione di AGCOM, ma in parte spetta anche all’autorità antitrust perché non dimentichiamo che il progetto di co-investimento vero e proprio è quello di FiberCop, il veicolo creato da TIM in cui confluisce sostanzialmente la joint venture fatta con Fastweb, vi è la partecipazione del fondo americano KKR, è anche la partecipazione non strutturata, più commerciale da parte di Tiscali. Questo veicolo è già stato creato, almeno su carta, ed è stato sottoposto al giudizio dell’autorità antitrust europea la quale, da quanto ho capito, ha detto che non essendo un’operazione strutturale, ma per lo più un accordo, non è di sua competenza, e infatti la materia è stata rimandata all’autorità antitrust italiana che ha aperto un procedimento alcune settimane fa nel quale ravvede dei rischi concorrenziali in Fibercop. Siccome Fibercop è il primo passo del co-investimento, è evidente che il giudizio dell’antitrust su questa operazione sarà estremamente importante, ancor più importante di quello di AGCOM, che deve venire dopo. AGCOM dovrà esaminare l’operazione da un punto di vista regolamentare, cioè vedere se questo co-investimento corrisponde all’ipotesi che è prevista dall’art. 76 del Codice Europeo delle Comunicazioni elettroniche, in base al quale se c’è un accordo di un certo tipo che aiuta, facilita il co-investimento tra operatori, in particolare uno dei quali dominante, allora in questo caso si può accettare una riduzione o addirittura la totale scomparsa della regolamentazione, che viene sostituita da una serie di impegni unilaterali”.
“Bisogna dire che nella nozione di co-investimento ci sono dentro delle cose molto diverse, c'è la tendenza a evocare il termine co-investimento, ma nella pratica bisognerebbe andare un po' a vedere di cosa si tratta esattamente. In Spagna ci sono stati i casi più interessanti, ma si tratta di casi di network sharing, cioè casi in cui ogni operatore crea la sua infrastruttura in zone diverse istituendo, poi, un accordo reciproco. Ognuno poi rimane con la proprietà in esclusiva. Ci sono stati casi in alcune zone in Francia, soprattutto in zone rurali. Vi è un caso francese in cui proprio il regolatore ha costretto, per evitare duplicazioni dell'ultimissimo tratto, gli operatori a mettersi d'accordo con una sorta di co-investimento imposto per legge. C'è qualche caso tedesco, ad esempio Deutsche Telekom, dove anche gli operatori elettrici volevano entrare nel business, quindi si sono dati accesso reciproco. Sono casi un po' sparsi dai quali si può trarre qualche buona regola, considerata la loro diversità. Funzionano questi casi soprattutto in zone specifiche e quando gli operatori hanno delle quote di mercato, in quelle zone, abbastanza simili. Perché quando si fa un investimento su un'infrastruttura fissa è chiaro che se le quote di mercato in quella zona sono simili il ritorno unitario per ciascuno operatore sarà simile. Mentre invece, se c'è un operatore che ha il 50% del mercato e un altro ha il 5% e l'investimento è lo stesso, è chiaro che il ritorno unitario sarà diversissimo. Quindi, ci sono questi punti di partenza di cui bisogna tener conto, soprattutto bisogna tener conto che ormai questo mercato è già in parte formato, quindi chi ha già il 50% del broadband e fa un investimento del genere, migra il suo 50% e lo porta su ultrabroadband. Però già parte dal 50%, non c'è una domanda in più che viene creata. Quindi è ovvio che l'operatore dominante parte da questo punto di vista con notevole vantaggio. Non ci sono molti incentivi per gli operatori più piccoli a fare l'accordo con l'operatore dominante. Anche perché partendo con il 5% o 2%, per loro il costo unitario sarà molto maggiore. Però non è detto che in determinate condizioni la cosa non funzioni. Quindi dove ci sono le condizioni è giusto che si sperimenti. Quello che però io tengo a precisare è che comunque non bisogna glorificare il co-investimento oltre i suoi meriti, perché non bisogna immaginare che ogni operatore con il co-investimento si faccia la sua rete, non è possibile”.