Coronavirus

Coronavirus, contagio al chiuso: le regole del Cnr per proteggersi

Una corretta umidità dell'aria e ventilare gli ambienti sono operazioni che riducono la possibilità di contagio da Covid-19

Coronavirus: studio internazionale individua le linee guida per ridurre il rischio di contagio al chiuso, soprattutto in luoghi a rischio come ospedali e case di cura

E' risaputo che il Coronavirus si tramette più rapidamente all'interno di luoghi chiusi. Non è infatti un caso che la maggior parte dei contagi oggi avvenga tra le mura domestiche ma anche in ospedali e studi medici.  Il Covid-19 si trasmette non solo per contatto ma anche per via aerea attraverso le gocce di saliva (droplets) e questo è uno dei motivi per cui è così importante indossare la mascherina. Uno studio internazionale che comprende anche i ricercatori Cnr-Isac ha individuato le linee guida da eseguire per ridurre il rischio di contagio al chiuso.

"Sebbene il virus, di per sè, abbia dimensioni dell'ordine di un centinaio di nanometri (il diametro di un capello è di 50.000-180.000 nanometri), è verificato che una persona infetta, attraverso la respirazione, la vocalizzazione, la tosse, gli starnuti, può emettere un aerosol contenente potenzialmente il SARS-CoV-2", ha spiegato all'Ansa Francesca Costabile, ricercatrice dell'Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac).

Coronavirus, contagio al chiuso: "Mantenere un certo livello di umidità, ventilare gli ambienti e niente nebulizzatori"

"Oltre che in composizione, le particelle di tali aerosol variano notevolmente in dimensioni, da meno di 1.000 nanometri, il diametro delle polveri sottili, a valori superiori ai 5.000 nanometri, dimensione delle tipiche droplets respiratorie. - prosegue l'esperta - La relazione fra dose inalata e infettività per il SARS-CoV-2 dipende fortemente dalle dimensioni: la capacità di penetrazione nel tratto respiratorio basso, di traslocazione sistemica in tutto il corpo umano e di attacco a organi bersaglio particolarmente vulnerabili, primo fra tutti il cervello".

Il rischio quindi è fortemente associato alla dimensione dei droplets. "Ispirandoci al principio di precauzionalità, l'obiettivo principale del lavoro è stato riconoscere, sulla base di dati già pubblicati, l'esistenza di un rischio dovuto alla possibile trasmissione airborne del SARS-CoV-2 in particolari ambienti indoor. E quindi proporre linee guida semplici e chiare a ospedali, studi medici, locali pubblici e altri ambienti simili. Robusti risultati di laboratorio dimostrano come la trasmissione del virus, in ambienti privi di radiazione solare, sia favorita da condizioni secche e fredde. Su tale base - all'interno di ambienti chiusi con luce solare diretta fredda, secca e con ventilazione insufficiente - raccomandiamo innanzitutto: di mantenere un'adeguata umidificazione dell'aria interna (nel range 40-60%), soprattutto laddove ci si trovi in condizioni di temperature sotto i 20° C, l'utilizzo di purificatori d'aria, di un'adeguata ventilazione meccanica anche nei periodi invernali e la misura della concentrazione del biossido di carbonio (CO2) in aria, da mantenere sotto le 1000 ppm. Sconsigliamo, infine, l'utilizzo di nebulizzatori in alcune procedure mediche e di tipologie di disinfettanti per le pulizie come quelli al perossido di idrogeno. In assenza di queste precauzioni il rischio potrebbe permanere pur indossando la mascherina chirurgica".