Coronavirus

Covid, il Tar sconfessa Speranza: tutte le sue colpe. Di P. Becchi e G.Zibordi

Di Paolo Becchi e Giovanni Zibordi

"Occorrerebbe parlare delle responsabilità del Ministero della Salute e delle istituzioni sanitarie che hanno ostacolato sin dall’inizio la cura dei malati"

Presi come siamo da virus, varianti e vaccinazioni di massa è passata del tutto sotto silenzio una notizia di questi giorni che invece merita di essere segnalata. Il TAR del Lazio con una sua ordinanza ha accolto l’istanza cautelare promossa dai medici del “Comitato Cura Domiciliare Covid-19” dichiarando non valido il protocollo del Ministero della Salute e dell’Aifa del 9 dicembre 2020 per la gestione della Covid-19, protocollo in cui si sconsigliavano quasi tutte le terapie che molti medici di base invece da mesi, di loro iniziativa, applicavano con successo. Il TAR con effetto immediato ha sospeso l’efficacia del suddetto protocollo, rinviando la trattazione del merito al prossimo 20 luglio.

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"Covid, al primo sintomo subito l’aspirina. Così salvo i miei pazienti”

Alcuni di questi medici, Fabrizio Salvucci, Andrea Stramezzi, Riccardo Szumsky e Luca Poretti hanno contestato la nota AIFA del 9 dicembre 2020 a proposito di “principi di gestione dei casi Covid-19 nel setting domiciliare” e da oggi i protocolli del Ministero che riguardano le linee guida che i medici di base dovevano seguire rispetto ai pazienti Covid sono sospesi. Come si sa, fino ad ora si raccomandava solo ‘vigilante attesa’ e di non somministrare una serie farmaci come la idrossiclorochina e alcuni anti-infiammatori che invece tanti medici ritengono efficaci. Stiamo parlando di medici, non dei virologi del regime sanitario tanatologico, di medici che in base al loro giuramento intendono curare e se possibile guarire malati, non farli morire.

Le nostre autorità sanitarie dopo dieci mesi considerano ancora la Covid-19 come una malattia nuova, incurabile se non col vaccino, una malattia per la quale non ci sono ancora sufficienti studi validi per decidere il trattamento e quindi si interviene solo quando la situazione è molto seria e il paziente è a rischio di morte. Questo approccio attendista è criticato da sempre più medici che riportano di avere successo, se si riesce a bloccare la malattia prima che la situazione si aggravi.

Quanti medici seguono ancora il protocollo “vuoto” del Ministero che scoraggia l’iniziativa del medico e quanti invece come quelli che oggi hanno avuto ragione in tribunale operano con terapie fin dai primi sintomi? Quanti morti sono dovuti a questo attendismo che dura da mesi e che ostacola anche le cure perché si raccomanda che il paziente non veda il suo medico di base e a quest’ultimo si dice di rimandarlo all’intervento dell’ospedale? In pratica oggi i pazienti anziani, che hanno sintomi e risultano positivi, vengono seguiti a casa da un medico che non è quello di base, ma spesso è un neolaureato assieme ad un infermiera i quali misurano l’ossigeno, fanno tamponi e basta. Se il paziente si aggrava viene trasferito poi in ospedale dove spesso muore perché ormai non c’è più niente da fare.

Diversi gruppi di medici da mesi invece si sforzano di spiegare che se si trattano subito i sintomi con farmaci adeguati, il ricovero viene quasi sempre evitato. In pratica dicono è come se per pazienti che hanno i sintomi di un attacco di cuore si raccomandasse di monitorare la situazione, ma di non intervenire tempestivamente.

Il fatto che oggi un tribunale intervenga e dia ragione ai medici di base che curano da mesi i pazienti contro i burocrati del Ministero della Salute e dell’AIFA indica che finora il Ministero ha sbagliato completamente approccio alla malattia.

Si è ostacolato la normale cura dei pazienti da parte dei medici in base alla loro esperienza coi farmaci disponibili e si è deviato tutta l’attenzione del pubblico e dei politici sul fatto che la gente in modo irresponsabile mangiava alla sera al ristorante o andava in palestra o andava al cinema o faceva lezione a scuola o all’università o semplicemente passeggiava per la strada.

Nei paesi del Sudamerica e dell’Asia si ha notizia dell’uso sistematico di farmaci che esistono da decenni come l’ivermectina e l’idrossiclorochina, perché le autorità sanitarie non le hanno vietate come da noi. Forse non è un caso che la mortalità in tutta l’Asia sia praticamente sparita e in quasi tutto il Sudamerica la situazione stia drasticamente migliorando. Da noi la burocrazia del Ministero e dell’AIFA ha espressamente vietato l’idrossiclorochina e ha sconsigliato ogni altro trattamento.

Dato che la mortalità in Italia è da 50 a 100 volte maggiore che in Asia (in media) e molto maggiore da mesi che in Sudamerica ed è la più alta del mondo assieme a Gran Bretagna, New York e Belgio, occorrerebbe parlare delle responsabilità del Ministero della Salute e delle istituzioni sanitarie che hanno ostacolato sin dall’inizio la cura dei malati condannandoli a morte, impedendo persino le autopsie e procedendo con le cremazioni forzate dei cadaveri per nascondere i loro errori. Prima o poi ci vorrà una nuova Norimberga.