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Coronavirus
Vaccino anti-Covid, il capo di Pfizer a Davos sceglie il silenzio

Alla data di introduzione sul mercato del “vaccino” Pfizer, nessuno (a parte Luc Montagnier, contro il quale si scatenò un’ignobile campagna di diffamazione), ci disse che il “vaccino” non avrebbe impedito di contagiarsi e contagiare. Qui sta la bugia: Albert Bourla garantì un’efficacia pari al 91%, cosa confermata dall’American College of Cardiology (ACC) che stimò un’efficacia addirittura superiore, del 95%. La percentuale di efficacia del 95% venne confermata dalla rivista Lancet.

Presto, come abbiamo immediatamente cercato di rendere noto in molti nostri articoli, i dati della UK Health Security Agency, della CDC statunitense, delle agenzie di farmacovigilanza dei Paese scandinavi e della vicina Svizzera hanno attestato sembra ombra di dubbio che l’efficacia dei vaccini scendeva fino ad azzerarsi completamente: “La protezione dall’infezione sintomatica con Omicron scende a circa il 10% 5 mesi dopo l’immunizzazione di base con Comirnaty®” (dati Svizzeri). Ma torniamo al 2021. In un documento ufficiale dell’OMS del 14 luglio 2021 possiamo leggere quanto segue:

“Efficacia del vaccino: tutti i vaccini COVID-19 approvati dall'OMS per l'uso in emergenza sono stati sottoposti a studi clinici randomizzati per testarne la qualità, la sicurezza e l'efficacia. Per essere approvati, i vaccini devono avere un tasso di efficacia elevato, pari o superiore al 50%. Dopo l'approvazione, continuano a essere monitorati per verificarne la sicurezza e l'efficacia.

Ma qual è la differenza tra efficacia e protezione?

L'efficacia di un vaccino viene misurata in uno studio clinico controllato e si basa sul numero di persone vaccinate che hanno sviluppato il "risultato di interesse" (di solito la malattia) rispetto al numero di persone che hanno ricevuto il placebo (vaccino fittizio) che hanno sviluppato lo stesso risultato. Una volta completato lo studio, si confrontano i numeri di malati in ciascun gruppo, per calcolare il rischio relativo di ammalarsi a seconda che i soggetti abbiano ricevuto o meno il vaccino. Da ciò si ottiene l'efficacia, una misura di quanto il vaccino abbia ridotto il rischio di ammalarsi. Se un vaccino ha un'elevata efficacia, si ammalano molte meno persone nel gruppo che ha ricevuto il vaccino rispetto a quelle che hanno ricevuto il placebo.

Immaginiamo, ad esempio, un vaccino con un'efficacia dimostrata dell'80%. Ciò significa che, tra le persone che hanno partecipato allo studio clinico, quelle che hanno ricevuto il vaccino avevano un rischio inferiore dell'80% di sviluppare la malattia rispetto al gruppo che ha ricevuto il placebo. Questo dato viene calcolato confrontando il numero di casi di malattia nel gruppo vaccinato rispetto al gruppo placebo. Un'efficacia dell'80% non significa che il 20% del gruppo vaccinato si ammalerà”.

Soffermiamoci sulla frase: “Dopo l'approvazione, continuano a essere monitorati per verificarne la sicurezza e l'efficacia”. Oggi tutti sono al corrente che l’efficacia del vaccino – intesa secondo la definizione data dall’OMS, è compresa tra lo 0,8 e l’1,3% (come dichiarato dal Professor Richard Fleming il 4 gennaio scorso). La scienza procede per esperimenti, ma alla fine i risultati sono incontrovertibili. In ambito scientifico (anzi, a mio parere in ogni ambito) occorre applicare rigorosamente l’etica del linguaggio, non etichettare le cose con un nome fuorviante.

La definizione di vaccino data dall’Enciclopedia Treccani è questa: “Preparazione rivolta a indurre la produzione di anticorpi protettivi da parte dell’organismo, conferendo una resistenza specifica nei confronti di una determinata malattia infettiva (virale, batterica, protozoaria). In origine, il termine designava il vaiolo dei bovini (o vaiolo vaccino) e il pus ricavato dalle pustole del vaiolo bovino (pus vaccinico), impiegato per praticare l’immunizzazione attiva contro il vaiolo umano”.

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