Anna Fusco, modella a miss Italia senza una mano: "Così aiuto gli altri" - Affaritaliani.it

Costume

Anna Fusco, modella a miss Italia senza una mano: "Così aiuto gli altri"

di Sara Perinetto

Nascere senza una mano le ha fatto vivere un’adolescenza travagliata, tra bullismo e depressione, ma ora Anna aiuta i bambini come lei a diventare adulti forti

Anna Fusco, classe 1990, è una ragazza romana nata senza la mano e l’avambraccio sinistri, senza che i medici le abbiano mai saputo spiegare il motivo. Ha avuto un’adolescenza difficile, bullizzata per la sua diversità: è stata in sovrappeso, ha avuto problemi di autostima, ha conosciuto la depressione, arrivando a perdere un anno scolastico.

 

Anna Fusco modellaPhoto credit Gilmo Costanzo

Poi, crescendo, ha imparato a fare i conti con la propria condizione, a conviverci, ad accettarla, fino a trasformarla in un punto di forza. È così che si è data da fare per migliorare sé stessa, fino a partecipare a concorsi canori, tra cui Area Sanremo, e di bellezza. Ha concorso due volte per Miss Italia: la prima, nel 2014, indossando una protesi e classificandosi in finale regionale, la seconda, nel 2018, arrivando sempre in finale regionale ma senza più il bisogno di indossare la protesi.

Oggi è motivational coach per bambini con la sua stessa patologia e le loro famiglie, ma anche cantante, modella (a febbraio ha sfilato alla Milano Fashion Week) e nuotatrice paralimpica.

Affariitaliani.it l’ha intervistata.

 

Quali problemi, soprattutto quelli più concreti, pone la quotidianità a una persona senza una mano? Come li affronti in casa e fuori?

Anna Fusco modella
 

Le difficoltà concrete nel quotidiano sono tante, a partire dal farsi una semplice piega ai capelli, per cui hai bisogno di una mano che regga la spazzola e di un’altra che regga il phon, ai gesti più semplici come allacciarsi le scarpe. Sin da piccola i miei genitori hanno fatto sì che trovassi da sola il metodo più semplice per poter far tutto, ma i problemi maggiori li ho incontrati quando ho deciso di andare a vivere da sola. Stendere le lenzuola, trovare un oggetto che mi regga il phon, rifare il letto, che è l’attività più difficile per me ma che ormai faccio tutti i giorni: il problema di certe azioni è che mi provocano dolori alla schiena a causa dello sbilanciamento, come per esempio lavare i piatti. Ma cerco di organizzarmi: quando vado a fare la spesa porto le borse più pesanti col braccio più corto così da equilibrare il carico. Taglio la pizza, guido la macchina, lavoro, canto, sfilo… Ormai conoscono bene il mio corpo e faccio tutto da sola!

 

 

Dici che lo stato non ti ha aiutata abbastanza: cosa potrebbe fare di più per le persone nella tua condizione?

Purtroppo per chi nasce con la mancanza di un arto non c’è la stessa e giusta tutela riservata a chi invece lo perde a causa di un incidente o altro. Lo stato ci concede una protesi basica, ogni 2 anni, bruttina e pesante, che può creare ulteriori problemi di schiena. I nomenclatori non sono aggiornati da anni. Per avere una protesi estetica, più leggera, dobbiamo pagare cifre che partono dai 7.000 €, e non parliamo della protesi mioelettrica i cui costi si aggirano sui 17.000 €, se non oltre. La mia personale fortuna è che non ne ho mai avuto necessità, ma per altri può essere un problema grosso.

 

Fai da coach solo a chi nasce senza un arto o anche a chi l'ha perso a un certo punto della vita?

Per lo più lo faccio per le famiglie con bimbi nati senza un arto.  Cerco di far sì che non trasferiscano il loro comprensibile trauma al bambino, altrimenti anche lui inizierebbe a viverlo, quando in realtà chi nasce così non avverte il disagio. Seguo anche persone adulte come me e raramente persone che perdono l’arto, perché sono due condizioni molto diverse che richiedono approcci mentali differenti, e sento di poter dare molto di più a chi è come me grazie proprio alla mia esperienza personale.

 

In cosa consiste in concreto la tua attività di coach?

Anna Fusco modella
 

Faccio dei colloqui finalizzati all’obiettivo di chi ho davanti. Ciò che cerco di trasmettere è che ognuno di noi deve essere libero di scegliere se indossare una protesi o meno. Ci sono persone che indossano la protesi solo per nascondersi, per vergogna, per obbligo da parte di terzi o per timore dei giudizi. Insomma, perché non si accettano per quello che sono. Infatti qualcuno la indossa solo fuori casa mentre al rientro non vede l’ora di toglierla per stare finalmente comodo. E poi la protesi può provocare anche dolore all’arto. È un pezzo in più; è come se ad una persona aggiungessero un terzo braccio. La teoria che porto avanti è invece quella che ognuno di noi è unico, è bellissimo così, non deve avere paura, nascondersi o avere timore di mostrarsi per ciò che è. Solo così si è davvero liberi.

 

Hai dei consigli per affrontare questo periodo di incertezza ed emergenza in cui tutti ci sentiamo fragili?

Sì, credo che tutti possiamo sfruttare questo momento come un’opportunità per riscoprire noi stessi, per rilassarci, buttare via lo stress della vita quotidiana e avere il coraggio di sentirci “fuori dal mondo” con serenità. Dovremmo fare ciò che abbiamo sempre rimandato, riprendere in mano i nostri hobby e, soprattutto, riservare molto più tempo agli affetti che per via degli impegni della nostra quotidianità spesso siamo impossibilitati a svolgere. Inoltre, consiglio a chi è solo, sano, e a chi non ha soggetti a rischio in famiglia, di fare del volontariato e aiutare le persone in difficoltà. Sentirsi utili crea un benessere e una pace interiore incredibili!