Costume

Atelier De Santis sfila alla Fornace Curti, uno dei luoghi più belli di Milano

Di Monica Camozzi

Loro sono i Curti, artefici della terracotta che anima la facciata dell’ospedale Ca’ Granda, la Certosa di Pavia, l’abbazia di Morimondo, Santa Maria delle Grazie, l’Arcivescovado, San Marco e decine di altri luoghi fenomenali. Dentro il borgo nascosto dietro i Navigli, con forni grandi quanto un monolocale, botteghe di artisti come Marco Cornini e Louse Manzon, Iaia Forte, l’altro giorno frusciavano sete, sbocciavano tartan tabacco e arancio, fiorivano abiti scivolati, cappe con profili a contrasto, pastrani color zafferano bordato di ceruleo abiti da Belle Epoque metropolitana.

La bellezza delle modelle chiamata a interpretare la collezione De Santis by Martin Alvarez era pari alla gigantesca scultura in terracotta di Cornini, un mezzobusto femminile che campeggia in uno dei cortili coperti, in mezzo ai vasi del Filarete. Poco distante dal terrazzino dove Stefano Raffa produce i suoi lampadari in fasce di legno e i coltelli che vedono l’acciaio trasformarsi in damasco. La Fashion Week è sempre stata un’ottima occasione per scoprire una Milano nascosta, ben oltre i noti palazzi del centro.

E stavolta la sorpresa  è stata grande. De Santis festeggiava 60 anni di sartoria: un famiglia storica, che ha vestito Luciano Pavarotti, Anna Falchi, Alba Parietti, Mia Martini e decine di altri personaggi. Una competenza da atelier che ha incontrato la vocazione stilistica del colombiano Martin Alvarez, maestro del taglio geometrico virato in couture, producendo uno stile urbano con un guizzo classico completamente reinterpretato.

Carmine De Santis e Martin Alvarez ci raccontano di una donna metropolitana, in equilibrio fra femminilità e decisionismo, che riscopre gli abiti stile Regina degli Scacchi (la serie Netflix), di seta color salvia con lungi polsi nido d’ape, in lane con fil coupé multicolori, a quadretti grigio azzurri, portati con cappotti dalla costruzione perfetta, con cappe che cambiano volumi, si trasformano, giocano con piping colorati.  

Il sapore del fatto a mano si respira nei maxi rever, nei tagli a vivo, nei lunghi vestiti burgundy appuntati solo su un lato, come tenuti da uno spillo caduto lì per magia. Bellissima, la stampa ispirata alla famosa canzone di Fabrizio de André, “se verranno a chiederti del nostro amore”, che anima bluse, long dress, cappottini da città. Una collezione la cui belleza viene potenziata dall’alchimia del luogo, come vi mostriamo in video.

“I miei avi furono i primi a far scoprire  a Francesco Sforza l’argilla rossa, densa di ferro e resistente -contrariamente a quella gialla- a freddo e intemperie -racconta Daria Curti, moglie di  Alberto che rappresenta la sesta generazione dei Curti- Da quel momento l’argilla venne usata anche sulle facciate storiche”. Lì, dietro via via Tobagi, la famiglia si è insediata ai primi del  900. Agli esordi la fucina era alle Colonne di San Lorenzo, meta di architetti come Filarete e Fondulo. Poi si trasferì in Ripa di Porta Ticniese e alla Conchetta sul Naviglio Pavese. Ma rimase sempre emblema del cotto lombardo che ammiriamo, forse senza saperlo, nei luoghi più impensati come il Cimitero di Pavia.