Cronache

"Infermieri e sanità territoriale, un ruolo nuovo. Ma il futuro è lontano"

di Elisa Scrofani

"Infermieri di famiglia, nelle competenze anche l’educazione sanitaria. La prevenzione è fondamentale". Parla il presidente di Nursing Up Antonio De Palma

In vista della Giornata internazionale dell’infermiere che ricorre oggi 12 maggio, con Antonio De Palma, presidente nazionale del sindacato infermieri italiani Nursing Up, affaritaliani.it ha approfondito sul futuro del servizio sanitario pubblico. Con particolare riferimento alla categoria, dalle conquiste ai numerosi nodi che permangono, solo superati i quali, spiega De Palma, la nostra sanità potrà auspicare di viaggiare sui binari d’eccellenza dei modelli al di là dei confini nazionali, uno per tutti quello del Regno Unito.

Il Pnrr guarda a una organizzazione sanitaria meno “ospedalocentrica”, a partire dalla casa come “primo luogo di cura” e dagli ospedali di comunità, che come si sa sono a gestione infermieristica. Che ruolo avranno gli infermieri in questo modello?

L’infermiere nella sanità territoriale dovrebbe avere un ruolo nuovo e che lo vede protagonista. Ma bisogna sottolineare che questo nuovo piano prevede, sì, un’attenzione particolare al territorio, e ne siamo felici, ma ha già ridotto il numero di ospedali di comunità previsto nelle ipotesi iniziali contenute nelle bozze. Ancora più importante, serve una politica di assunzione del personale infermieristico. Abbiamo circa 9.600 infermieri di famiglia che sulla carta sono previsti ma che sono operativi ancora in rare eccezioni. Questo si connette al problema a monte della mancanza di infermieri. Ci  sono contratti non congrui alla professionalità elevata che gli infermieri italiani esprimono, quindi la scarsa partecipazione ai concorsi. Servono bandi per assumere a tempo indeterminato. Nessun infermiere deciderà di lasciare un posto di lavoro per una struttura pubblica che lo assume per qualche mese

Quindi nel Recovery Plan ci sono elementi che esigono la priorità.

Le regioni devono fare un programma, coordinato tra loro (perché abbiamo il problema di 21 repubbliche sanitarie che si muovono in ordine sparso), finalizzato all’individuazione del personale e quindi all'assunzione, che individui le garanzie da fornire a tutti i cittadini in modo omogeneo, indipendentemente dal dove si trovino. Noi auspichiamo che la Conferenza delle Regioni elabori un provvedimento che consenta l’attivazione di tali interventi su tutto il territorio nazionale. Dopodiché, sempre a livello nazionale, bisogna organizzare l’attività dell’infermiere di famiglia, che darebbe finalmente una risposta concreta ai bisogni di assistenza delle famiglie italiane, non solo per quelle con membri anziani, fragili, o con patologie, ma per tutte e per ogni necessità

Come mai la situazione è (ancora) questa?

Perché sebbene ci sia la legge, che prevede la possibilità di assumere fino a 8 infermieri di famiglia ogni 50.000 abitanti, l’attivazione si rimette alle singole regioni. Si torna quindi all’esigenza di un provvedimento che non crei il problema di aspettare che cosa fa una regione e poi l’altra e che faccia sì, invece, che le regioni si muovano all’unisono assumendo questo personale

Le cure domiciliari attualmente vengono effettuate?

Al momento esistono i centri di assistenza domiciliare, presso le varie aziende sanitarie, che garantiscono l’attività domiciliare, ma sono servizi limitati perché le risorse destinate sono veramente esigue. E poi c’è il nodo della prevenzione che è fondamentale. Se si facesse prevenzione tanti disservizi e tanta disorganizzazione non ci sarebbero, e si sarebbero potuti evitare anche durante l’emergenza Covid. Sarebbe stato importante avere giovani preparati proprio nelle norme di contrasto alla diffusione di un virus. E l’infermiere di famiglia ha come competenza anche l’educazione sanitaria. Come figura diciamo che rappresenta un guizzo in avanti per il sistema sanitario nazionale italiano, che ci auspichiamo possa guardare quanto prima a modelli d’eccellenza come quello inglese