Cronache

Omicidio di San Sebastiano al Vesuvio, confessa il 17enne fermato: “Ho ucciso io Santo Romano”.

di redazione

Il 28 maggio era uscito dal carcere minorile

Accusato di omicidio, porto e detenzioni di armi, spari in luogo pubblico e droga


“Sì sono stato io”. Ha confessato il 17enne,  fermato per l’omicidio del 19enne Santo Romano, ucciso sabato notte a San Sebastiano al Vesuvio, in provincia di Napoli. Il suo tentativo di negare davanti ai carabinieri e al pm della Procura dei minori è durato poco. Inizialmente aveva detto: "Non so nulla". Poi ha ammesso: "Sì, sono stato io. L'arma l'ho comprata in un campo rom". Questo quanto trapela da fonti investigative. Il 17enne (difeso dall’avvocato Luca Raviele), del quartiere napoletano di Barra, era stato fermato ieri sera.

Il ragazzo ha reso dichiarazioni al pm della Procura dei Minori che sabato sera aveva firmato il decreto di fermo. Le accuse sono di omicidio, porto e detenzioni di armi, spari in luogo pubblico e droga. Quest'ultima accusa si riferisce al fatto che all'interno dell'auto sequestrata, dalla quale due sera fa ha sparato e ucciso Santo Romano, il ragazzo di 19 anni intervenuto da paciere in una lite, c'erano 3,4 grammi di marijuana suddivisa in dosi e un bilancino di precisione. Da ieri sera il 17enne si trova nel centro di prima accoglienza dei Colli Aminei, dove era stato portato anche in passato proprio per i suoi precedenti legati alla droga, ma stavolta per l'accusa di omicidio.

Le indagini dei carabinieri si sono avvalse sia della testimonianza del 17enne amico di Santo ferito a un gomito da uno dei due proiettili esplosi, sia delle immagini delle telecamere di sorveglianza del comune di San Sebastiano al Vesuvio che hanno ripreso l'auto con targa polacca sfrecciare verso Napoli. L’omicidio è avvenuto in piazza Raffaele Capasso proprio davanti al municipio della cittadina vesuviana.

Il ragazzo arrestato che sarà interrogato domani per la convalida del fermo era stato scarcerato dall'istituto di pena minorile di Nisida il 28 maggio scorso, era stato condannato a un anno e mezzo, con pena sospesa, per i reati di resistenza a pubblico ufficiale e detenzione ai fini di spaccio di stupefacenti, accuse per le quali era stato arrestato il 31 gennaio scorso.

Il minore non ha fornito indicazioni per recuperare l’arma utilizzata. E non ha voluto fornire il nome del ragazzo che era con lui su cui sono incorso accertamenti: “Lui non c’entra nulla” ha affermato. L'attività dei carabinieri sono concentrate sulla ricerca degli eventuali complici del 17enne e non tralasciano nulla, scandagliando i suoi profili social alla ricerca di elementi utili. In particolare, gli inquirenti hanno concentrato la loro attenzione su una serie di scatti, alcuni dei quali sarebbero stati postati dopo la lite di San Sebastiano al Vesuvio e la sparatoria avvenute nella notte tra venerdì e sabato. Foto che inneggiano all'uso delle armi e che - e la speranza di chi porta avanti le indagini - potrebbero nascondere dettagli importanti per inquadrare non solo il contesto nel quale si muoveva il 17enne, ma anche la sua rete di contatti.

L'obiettivo è comprendere chi possa aver partecipato all’iniziale diverbio per un pestone e una scarpa sporca. Come ha raccontato tra gli altri anche la fidanzata di Santo, il giovane era intervenuto per difendere un amico, trovandosi dunque nella traiettoria dei colpi esplosi (almeno due) dal 17enne che nelle immagini degli impianti di videosorveglianza della zona si vedrebbe poi allontanarsi a bordo di una Smart. Una vettura con targa polacca già finita all'attenzione delle forze dell'ordine, che l'avevano fermata per un controllo la sera prima degli spari a San Sebastiano al Vesuvio.

Anche questo ha aiutato a individuare il 17enne alla guida, resosi prima irreperibile e poi tornato ieri pomeriggio nella zona dove ad attenderlo c'erano i carabinieri. Si tratta di un giovane già noto alle forze dell'ordine per precedenti legati allo spaccio di droga e altri reati.

"Il ragazzo ha ammesso di aver sparato – afferma l’avvocato Raviele – ma ha detto di averlo fatto perché si sentiva in pericolo e si è difeso dopo essere stato accerchiato da un gruppo di 4/5 persone”. I legale sottolinea anche i problemi “di natura psichiatrica del suo assistito, già certificati da una consulenza specialistica”.

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