Cronache
Andreoli, il "Blair dell’anima", ma il TSO è ancora necessario
L’antipsichiatria è viva e lotta insieme a noi
Vittorino Andreoli e l’antipsichiatria che non funziona
Qualche giorno fa lo psichiatra Vittorino Andreoli (82 anni) ha concesso una intervista al Corriere della Sera, a Candida Morvillo molto interessante per capire che (purtroppo) la cosiddetta “antipsichiatria” è viva e lotta insieme a noi. Riportiamo una domanda e relativa risposta importante per capire bene di cosa si parli. Lei è celebre –chiede la giornalista- anche per non aver mai legato un malato in 50 anni di mestiere: come ha fatto? E perché i suoi colleghi ancora oggi li legano?
«Quando trentenne, nel ‘71, divenni primario dell’Ospedale Psichiatrico di Marzana, a Verona, dissi a medici e infermieri di non legare più i malati gravi, ma che se avessero avuto bisogno, io sarei arrivato in cinque minuti. Contavo sul fatto di conoscere bene la farmacologia dopo le esperienze all’Istituto Farmacologico di Milano e in America. La mattina dopo, la caposala mi aspettava agitatissima, dice: venga, venga, un malato sta rompendo tutto, è pericoloso. Salgo, sento un rumore terribile in una stanza: urla, oggetti spaccati, bam bam. Fuori, tutti gli infermieri e i medici di turno. Dico alla caposala: apra la porta. Lei rimane ferma con la chiave in mano. L’infermiere più anziano mi fa: prof, conosco suo padre, la prego, non lo faccia. «Entro e vedo tutto divelto, il lavabo per terra, spaccato. Al che, inizio a rompere tutto quello che non era ancora rotto. Prendo il lavello o e bam bam, lo sbatto e risbatto per terra. Il malato si calma. Mi guarda. Io continuo. Lo ammetto: rompere mi dava una soddisfazione incredibile. Alla fine, prendo il malato sottobraccio, lo porto nel mio ufficio, gli dico di non rompere mai più niente fino al mio arrivo alle otto del mattino e lui così fece. Dopo, feci raccogliere i mezzi di contenzione e appiccai un falò in giardino. Sentii un piacere quasi fisico. Da allora, mai un malato mi ha dato uno spintone».
Andreoli, nel proseguo dell’intervista, dice che quando lui ha iniziato ad esercitare in manicomio c’erano due scuole: la Lombrosiana in cui dominava la fisiologia e appunto quella di Basaglia, . Lui dice di aver portato una sorta di “terza via”, un po’ come se fosse un “Blair dell’anima” ma da quello che ancora dice sembra più un esponente basagliano. Uno dei danni più duraturi che la sinistra ha apportato alla società italiana è stata infatti la cosiddetta "legge Basaglia" e cioè la legge 180 del 1978, che prevedeva la chiusura dei manicomi. Franco Basaglia è stato uno psichiatra veneziano, operante a Gorizia, fondatore di Psichiatria Democratica (già il nome è un obbrobrio ed un programma ideologico). Purtroppo Basaglia inquinò la medicina con la filosofia e specificatamente l'esistenzialismo sartriano di stampo comunista. Inquinò il positivismo medico con concetti ambigui e pericolosi in campo psichiatrico cercando un approccio umano con il "matto" generando però una serie di guai di cui vediamo quotidianamente ancora gli effetti.