Cronache

Andreotti e il segreto della cassaforte, svela il figlio Stefano: “Era vuota”

Il figlio Stefano rivela: “Il suo più grande segreto era che non esistevano grandi segreti. Noi testimoni della sua sofferenza per Aldo Moro”

di Patrizio J. Macci

Otto anni senza Giulio Andreotti, ma la sua luce non si è spenta il 6 maggio 2013. Ha lasciato decine di migliaia di documenti che saranno oggetto di studio e analisi per decenni, forse per secoli. Ma chi era veramente Giulio Andreotti e cosa conteneva la cassaforte chiusa ritrovata nel suo studio dall'avvocato Giulia Bongiorno?

Per chi votava Andreotti dopo la scioglimento della Democrazia cristiana, chi ha selezionato il materiale da includere nei Diari in corso di pubblicazione? L'unica persona che può rispondere a domande come queste è il figlio Stefano, che insieme alla sorella Serena si sta occupando del riordino dei suoi diari e del suo archivio sterminato. L'unico a poter raccontare Andreotti visto da vicino. Nel 2017 l’avvocato Giulia Bongiorno in una intervista al settimanale Oggi racconta di una cassaforte ubicata nel suo studio che conteneva i “segreti di Andreotti”. L’intervista è consultabile on line.

Cosa c’è dentro quella cassaforte, forse qualche segreto inenarrabile sul Caso Moro?

“Mio padre restituì alla proprietà, un paio di anni prima della sua morte, lo studio che aveva in affitto in piazza San Lorenzo in Lucina; Giulia Bongiorno subentrò nella locazione felice di utilizzarlo come sede della sua attività professionale. Dopo qualche tempo mi chiese se era rimasta a noi la chiave di una cassaforte a muro, che era chiusa, proprio nella stanza che utilizzava mio padre. Noi non la avevamo mai avuta, chiesi ai collaboratori e Giancarlo Buttarelli, suo storico capo scorta, l’anno scorso purtroppo scomparso, mi disse che ricordava bene che la cassaforte non era mai stata utilizzata, che era rimasta sempre chiusa da prima che mio padre prendesse in affitto i locali e che mio padre non se ne era mai occupato. Riferii la circostanza a Giulia Bongiorno e le consigliai scherzando di farla aprire da qualcuno dei suoi clienti che probabilmente sarebbe stato in grado di farlo con facilità. Dopo qualche anno Giulia Bongiorno la fece ‘scassinare’ e mi mandò le fotografie della stessa vuota confermandomi che all’interno non c’era nulla. La leggenda dei grandi segreti credo possa essere stata alimentata anche da episodi del genere, mio padre ha però sempre ripetuto che il suo più grande segreto era che non esistevano questi grandi segreti. Certamente era a conoscenza di alcuni fatti coperti dal segreto di Stato, che riguardavano le Alleanze internazionali e che evidentemente non potevano essere rivelati, ma credo che la leggenda derivi da una dietrologia dominante per la quale l’Italia sta sicuramente al primo posto nel mondo. Quanto al caso Moro, e non dimentichiamoci mai della scorta nello stesso modo barbaramente trucidata, mio padre ha raccontato in più occasioni e nei dettagli quei tragici giorni, ricordando il suo grande dolore e la sua grande sofferenza, di cui noi in famiglia siamo stati testimoni diretti; ha sempre considerato la più grande offesa che potesse essergli fatta quella di chi ha adombrato una sua volontà di ostacolare le ricerche per liberarlo.”

Sfogliando i diari di suo padre pubblicati nel 2020, Diari Segreti 1979-1989, più di un lettore ha notato curiose “mancanze” confrontando le annotazioni di suo padre rispetto agli eventi storici. La pubblicazione è stata integrale oppure ci sono state delle scelte?

“Del riordino delle carte che compongono i diari ci siamo occupati mia sorella Serena ed io, il volume sfiora le settecento pagine, la prima bozza arrivava a quasi mille. Solferino editore ci chiese di operare una riduzione, perché altrimenti non pubblicabile, abbiamo di conseguenza eliminato notazioni che riguardavano comunque argomenti marginali e di scarso interesse o di natura personale, dedicando particolare attenzione a mantenere tutto quello che abbiamo ritenuto più significativo.

stefano andreotti
 

Va d’altra parte detto anche che il diario era scritto a suo uso personale e che annotava lì i fatti che lo riguardavano direttamente o che comunque riteneva in qualche modo legati alla sua attività, non necessariamente ha riportato tutto quello che accadeva in Italia e nel mondo. Parlando con tante persone che lo hanno letto nessuno mi ha però mai parlato di curiose ‘mancanze’, mi farebbe piacere conoscere quali sarebbero queste omissioni su eventi storici. Lo stesso criterio abbiamo adottato per i ‘Diari degli anni di piombo’ che riguardano il periodo 1969-1979, che andranno entro questa estate in pubblicazione sempre con Solferino editore, che fra l’altro contengono una cronaca dettagliata anche dei cinquantacinque giorni di Moro e che smentiscono tante fantasie, spesso esternate da qualcuno dopo che mio padre non era più in grado di controbattere, non ultima quella di un suo intervento sul Papa per far modificare la lettera alle Brigate rosse.”

Dopo lo scioglimento della Democrazia Cristiana, secondo lei e per quello che avete raccolto dai vostri colloqui, verso quale partito si erano orientate le preferenze elettorali di suo padre?

“La vita politica di mio padre è nata con i primi passi della Democrazia Cristiana, che è rimasta anche se sciolta il suo partito. Con un po’ di nostalgia ha poi votato quei simboli che includevano lo scudo crociato.”

E’ vero che Henry Kissinger lo chiamava al telefono nelle prima ore del mattino per farsi “spiegare meglio" cosa accadeva nello scenario del Mediterraneo?

“Con Kissinger mio padre ha avuto un rapporto durato decenni. Con grande orgoglio lesse in un libro di diari il giudizio dato su di lui: 'I suoi modi professorali nascondevano una mente politica acutissima ed era più interessato alla politica estera di ogni suo predecessore che avessi incontrato.’ Certamente la conoscenza di mio padre dello scenario del Mediterraneo fu spesso condivisa con Kissinger come con tanti altri politici sia USA che non.”

Massimo Franco nella biografia che gli ha dedicato, C’era una volta Andreotti, sviluppa una riflessione acuta sui processi che il Senatore ha affrontato. Secondo lui il processo ad Andreotti, anzi i processi, sono stati il tentativo di assolvere sé stessi da parte di una larga fetta di italiani. Un tentativo di assoluzione dai propri peccati storici, da alcune colpe divenute oramai innate. Le sembra una tesi estrema oppure c’è un fondamento?

“Io ritengo che si dovrebbero più semplicemente inquadrare i processi di mio padre in quello che è accaduto in Italia nei primi anni novanta e che portò alla fine della cosiddetta Prima Repubblica. Malgrado qualche esternazione, tirata fuori immancabilmente anche questa quando lui non era più in grado di controbattere, mio padre, che non aveva mai avuto un ruolo ufficiale di responsabilità nella Democrazia Cristiana, non fu mai toccato da Tangentopoli, anche se non mancarono  tanti tentativi fatti allora per coinvolgerlo. Per lui ci fu così l’anche peggiore onta dei processi per mafia e per l’omicidio Pecorelli. Mio padre era convinto che oltre ad evidenti promotori interni dell’iniziativa ci fosse anche qualche manina targata USA. Il muro di Berlino e la fine dell’Unione Sovietica non rendevano più indispensabile il ruolo della Democrazia Cristiana, oggi a distanza di tanti anni si comincia a rivedere quanto accaduto in quegli anni, ma non mi pare ci sia veramente la volontà di andare a fondo e ricostruire quello che si dovrebbe considerare un vero colpo di Stato.”

Suo padre è stato sempre presente in aula durante il dibattimento dei processi. Le fotografie lo coglievano seduto in prima fila con il faldone delle carte che sarebbero state discusse. Cosa vi raccontava dopo quelle giornate?

“Passato un primo periodo di assoluto sconforto accettò il tutto con grande serenità e umiltà, dedicando al ruolo di imputato lo stesso impegno che continuava a profondere nell’attività di senatore a vita. La sua profonda fede lo ha sorretto in quegli anni, considerava il tutto come un quasi giusto contrappeso ai tanti onori che aveva avuto prima, quasi un anticipo di purgatorio in vita. Lo ha anche aiutato la famiglia e i tanti amici che gli sono stati vicini ed in particolare il conforto ripetutamente ricevuto da due persone speciali come Madre Teresa di Calcutta e di Giovanni Paolo II. Ma soprattutto lo ha guidato la certezza di avere la coscienza a posto sicuramente al riguardo degli addebiti che gli erano stati mossi.”

Era nota la sua avversità per il partito di Berlusconi, non gli perdonava di aver portato in televisione una trasmissione come Il grande fratello (aveva chiosato qualcuno). Secondo lei come avrebbe commentato la figura di Rocco Casalino come portavoce di Giuseppe Conte che proveniva proprio da quell’esperienza televisiva?

“Di Berlusconi aveva comunque stima e riconosceva le straordinarie capacità imprenditoriali. Non accettava magari il fatto che anche dopo la sua entrata in campo con Forza Italia continuasse a dire ‘voi politici’. Su Casalino non so che giudizio avrebbe avuto, come per tanti altri credo comunque che non avrebbe espresso la sua opinione sulle esperienze giovanili ma sulle capacità mostrate nel nuovo ruolo.”

C’è mai stata da parte sua qualche commento o recriminazione sulla possibilità sfumata di essere eletto presidente della Repubblica?

“Sicuramente avrebbe accettato la nomina a Presidente della Repubblica con soddisfazione, ma non ne fece mai un dramma, anche perché la sua propensione ad un’attività di continuo contatto con il mondo esterno, in particolare modo fuori dai confini italiani, gli sarebbe stata frenata dal doversi chiudere al Quirinale.”

Federico Fellini ha confessato una volta che il suo sogno era diventare un aggettivo. L’aggettivo andreottiano viene usato spesso, e abusato, per definire alcuni atteggiamenti o comportamenti. Ma esiste un erede di Giulio Andreotti, qualcuno tra i politici presenti sulla scena le ricorda lo stile di suo padre?

“Premesso che Fellini è stato  e mi piace ricordarlo un suo buon  amico, la politica è profondamente cambiata come è cambiato il comportamento e il modo di essere dei politici. Nel panorama attuale non credo di vedere in nessuno comunque che ne ricalchi lo stile.”

Non amava le biografie, ma è stato l’unico politico fino ad oggi a poter affermare “io sono postumo di me stesso” senza sembrare paradossale. Se dovesse accostare la sua vicenda umana e politica a un artista, secondo lei sarebbe un quadro di Caravaggio (luci e ombre) come ha sostenuto uno studioso americano, oppure c’è un pittore che per lei lo rappresenta maggiormente?

“Mio padre ha lasciato un archivio monumentale, ora presso l’ Istituto Sturzo, che è consultabile da chi ne ha interesse. Con mia sorella Serena stiamo cercando di rendere pubblici i diari. Speriamo che tutto questo, basato su documenti e non su voci, contribuisca a rendere più evidente chi sia stato nostro padre, sgombrando il campo da tante presunte ombre ed evidenziando l’apporto da lui dato alla storia del novecento con la sua immutabile lealtà e dedizione alle istituzioni repubblicane e la sua fede incrollabile nei valori della democrazia e della libertà. Mi permetto perciò di rigettare l’opzione Caravaggio e preferisco ricordarlo con un quadro di De Chirico, che gli donò un bellissimo ritratto, o con uno di Guttuso, che malgrado  la militanza comunista fu suo grandissimo amico.”