Cronache

"Isis? Siamo solo all'inizio, l'Italia si svegli o pagherà un conto salato"

Lorenzo Lamperti

INTERVISTA/ Il generale Franco Angioni: "Il problema principale non è l'Isis. Tra qualche anno l'Italia rischia di diventare come Francia o Regno Unito"

"L'Isis non deve essere la nostra preoccupazione primaria. Il problema principale è la sua influenza ideologica che rischia di permanere anche qualora dovesse essere fisicamente eliminato. E temo che quello che stiamo affrontando ora sia solo un'avanguardia di quello che dovremo affrontare nei prossimi anni se non ci muoviamo in fretta e con intelligenza". Il generale Franco Angioni, già comandante del contingente italiano nella missione di pace Libano 2, analizza in un'intervista ad Affaritaliani.it la difficile situazione legata al terrorismo in cui si trova l'Europa dopo gli ennesimi attentati di Barcellona e Turku in Finlandia.

angioniIl generale Franco Angioni
 

Generale Angioni, il terrorismo ha colpito di nuovo l'Europa. 

Non possiamo dire di essere sorpresi. Il terrorismo aveva dato avvertimenti, si era preannunciato ampiamente. Il suo arrivo in Europa ha motivazioni profonde che vengono da lontano.

Vale a dire?

Agli occhi di molti soggetti il terrorismo è una sorta di riscatto nei confronti del mondo occidentale. Esprime un sentimento di rivalsa che trova origine nel colonialismo. Un'epoca che ci ha lasciato in eredità figli e nipoti di una  prima generazione di migranti quasi forzati. 

L'Italia è in pericolo?

Per fortuna siamo tra quei paesi meno colpiti di altri perché l'Italia il suo piccolo colonialismo lo ha pagato duramente. Altri, invece, si sono arricchiti. Mi riferisco a Francia e Gran Bretagna, per esempio, In quei casi le prime generazioni arrivavano in "madrepatria" con orgoglio. Ma le seconde e le terze generazioni sono state dimenticate e abbandonate. Da lì nasce il germe della rivendicazione. L'Italia al momento è fuori da questo ragionamento perché praticamente non abbiamo seconde o terze generazioni ma anche noi facciamo parte di quella schiera di paesi "padroni" verso i quali è forte un sentimento di rivalsa. Non possiamo dunque sentirci esenti da pericoli. Dobbiamo tenere la guardia alzata, anche noi siamo un obiettivo. Se continuiamo a trascurare questo fatto tra 10 anni potremmo essere costretti a pagare un conto molto elevato.

Esiste anche un colonialismo attuale, come suggerirebbero le vicende, tra le altre, di Libia e Siria?

Certo. Non mi pare che ci siano molti paesi che combattano davvero questo problema. Il 20% della popolazione mondiale gode dell'80% delle ricchezze. Se pensiamo che l'80% più povero possa stare buono e calmo per sempre ci illudiamo. Non servono elemosine, dobbiamo usare questa ricchezza per aiutare l'80% più povero e migliorare le loro condizioni di vita. Altrimenti il terrorismo è solo l'avanguardia di quello che dovremo affrontare nei prossimi anni e decenni.

Che cosa bisognerebbe fare?

Da un lato rispettare le autorità locali senza ingerenze motivate da interessi economici o personali. Dall'altro lato cortocircuitare le autorità locali quando è provato che esse siano una minaccia e non un aiuto. Ma la cosa principale è che ci vuole massima collaborazione. Niente invidie, niente tornaconti personali. Speravo che l'Europa potesse essere il continente di riferimento per tutta una serie di valori positivi e invece ci stiamo dilaniando dal nostro interno e il miraggio pare ormai svanito. Lo dimostrano la Brexit e altri movimenti nati in tutto il continente. Più ci dividiamo e più facciamo spazio al germe del terrore. C'è da preoccuparsi.

Sul piano militare l'Isis è ormai in ginocchio. Ma per assurdo il rischio terrorismo in Europa sembra pià forte che mai. Perché?

Il discorso da affrontare è esattamente questo. L'Isis non è e non deve essere la nostra preoccupazione primaria. L'Isis è un'influenza, un'idea che si è innestata sui movimenti di cui parlavamo prima. La sua eliminazione fisica non risolverà il problema, anche perché abbiamo imparato che queste organizzazioni e queste sigle cambiano ma il problema resta. L'Isis è nato per motivi contenuti e in una zona geografica limitata come rivalsa ai drammatici errori degli occupanti occidentali o dei governanti appoggiati dai governi occidentali, Stati Uniti in prima fila. Ma la minaccia è ben maggiore dell'Isis, che non è altro che un'etichetta appiccicata sopra qualcosa di più grande. Ci dobbiamo muovere o lasceremo in eredità ai nostri figli e nipoti un mondo pieno di pericoli.

Le sembra che in Italia ci sia questa consapevolezza?

Siamo una pedina piccola in questo puzzle. Ma non possiamo restare con le mani in mano. Se non prendiamo provvedimenti adesso tra 5 o 6 anni avremo un grande malessere in casa che dovrà essere affrontato per forza di cose in maniera più cruenta di quanto invece non potrebbe essere affrontato adesso. I cittadini vanno allevati alla disciplina e vanno trattati tutti, e sottolineo tutti, alla stessa maniera. Le prime, seconde o terze generazioni, non devono sentirsi ospiti, spesso mal sopportati: devono sentirsi cittadini uguali a tutti gli altri, con tutti i diritti e i doveri del caso. E poi dobbiamo fare pressioni sull'Europa per far capire che si deve procedere uniti altrimenti il disaccordo ci farà pagare un prezzo molto molto alto.

twitter11@LorenzoLamperti