Borsellino, lo Stato processa se stesso. Viminale contro gli agenti
Lo Stato processa un pezzo di se stesso per il depistaggio dell'inchiesta sulla strage di via D'Amelio
Borsellino: al via processo sul depistaggio, Viminale contro agenti
Lo Stato processa un pezzo di se stesso per il depistaggio dell'inchiesta sulla strage di via D'Amelio, "uno dei piu' gravi della storia giudiziaria italiana", secondo le motivazioni del Borsellino quater. Si e' aperto oggi il processo al Tribunale di Caltanissetta, presieduto da Francesco D'Arrigo, contro tre poliziotti accusati di calunnia in concorso con l'aggravante di avere agevolato con la loro condotta Cosa nostra: Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, i quali, secondo la procura nissena, avrebbero manovrato le dichiarazioni rese dal falso pentito Vincenzo Scarantino, costringendolo a fare nomi e cognomi di persone innocenti in merito all'attentato in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta. Contro di loro ha chiesto di costituirsi parte civile il ministero dell'Interno che ha presentato un conto salatissimo: 60 milioni di euro per il grave danno d'immagine prodotto; hanno sottoposto istanza anche il ministero della Giustizia, i familiari degli agenti di scorta, il superstite della strage, Antonino Vullo, e il Comune di Palermo. Il giudice ha rinviato al 26 novembre. Forse un rinvio troppo lungo se Fiammetta Borsellino si sente di dichiarare: "Abbiamo aspettato molto, troppo tempo per la verita', vigileremo con molta attenzione perche' arrivi presto e per intero".
La Corte d'Assise, nelle 1865 pagine delle motivazioni del quarto processo Borsellino, criticava il team che indago' sulla strage sotto la guida di Arnaldo La Barbera, il funzionario di polizia morto per un tumore nel 2002. In particolare gli inquirenti avrebbero convinto il falso pentito Vincenzo Scarantino a fornire una versione distorta dell'esecuzione dell'attentato e avrebbero messo in atto il depistaggio. E i legali degli imputati adesso sostengono che nell'inchiesta sulla strage la polizia non ebbe un'autonoma iniziativa. Per dimostrarlo, il legale del dirigente di polizia Mario Bo', l'avvocato Nino Caleca, chiede che vengano a deporre i pubblici ministeri di allora, tra i quali Nino Di Matteo, Annamaria Palma, Carmelo Petralia e Ilda Boccassini. Il legale di parte civile di Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, l'avvocato Fabio Repici, chiede invece che siano sentiti come testi, tra gli altri, l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino e Bruno Contrada. I magistrati della procura nissena avanzano il sospetto che si sia voluta occultare la "responsabilita' di altri soggetti per la strage, nel quadro di una convergenza di interessi tra Cosa nostra e altri centri di potere che percepivano come un pericolo l'opera del magistrato". La Barbera, in particolare, sarebbe stato coinvolto nella sparizione dell'agenda rossa di Borsellino. Gli investigatori avrebbero coordinato e reso sovrapponibili i vari contributi dei falsi collaboranti, segnati da "anomalie nell'attivita' di indagine", non rilevate pero' dagli inquirenti e dai giudicanti, nonostante, "nel corso della collaborazione dello Scarantino", ci fosse stata "una serie impressionante di incongruenze, oscillazioni e ritrattazioni". Responsabilita' di La Barbera si', dei tre poliziotti pure, ma l'atteggiamento del falso pentito-picciotto della Guadagna e tutti i dubbi emersi su di lui "avrebbero logicamente consigliato un atteggiamento di particolare cautela e rigore nella valutazione delle sue dichiarazioni, con una minuziosa ricerca di tutti gli elementi di riscontro, positivi o negativi che fossero".
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