Cronache

Csm, Amara adesso accusa anche Renzi. "Trattò coi pm il patteggiamento Ilva"

L'avvocato, uscito dal carcere per aver fornito informazioni utili ai magistrati, parla di una strategia con Ferri e Palamara contro le “toghe rosse”

Amara accusa anche Renzi. "Trattò coi pm il patteggiamento Ilva"

Lo scandalo della magistratura continua a tenere banco. L'avvocato Piero Amara ha ricominciato a parlare con i pm e le sue dichiarazioni, seppur contraddittorie e parziali, sono state considerate interessanti. Questo gli ha consentito di uscire dal carcere di Potenza. Le nuove confessioni- si legge sulla Stampa - riguarderebbero il sistema di potere fiorentino e tirerebbero in ballo, oltre a Ferri, Lotti e Palamara, anche il leader di Italia Viva, Matteo Renzi. Invece a tessere la tela di Palazzo Chigi sull’Ilva, racconta Amara, era Enrico Laghi, docente alla Sapienza, commercialista e collezionista di incarichi privati (recentemente chiamato alla presidenza della cassaforte dei Benetton) e pubblici nelle grandi aziende commissariate.

Poco conosciuto al grande pubblico, anche se «a Roma lo conoscono tutti». Amara - prosegue la Stampa - lo definisce «un genio di mostruosa intelligenza, che ti fa fare una cosa pensando che l’hai chiesta tu». Nel 2015 il governo Renzi lo nomina all’Ilva, «dove era l’imperatore: non si muoveva un dito se non era lui a decidere». Amara conferma i suoi solidi rapporti con Lotti (che li nega), compreso un «finanziamento illecito grande quanto una casa» di cui s’impegna a consegnare i documenti ai magistrati.

Ma spiega che Laghi - continua la Stampa - si muoveva a un livello superiore perché «aveva rapporti diretti col premier e con la famiglia Riva». Apparentemente messa fuori gioco dall’Ilva nel 2012, in realtà «Stato e Riva, nella gestione dell’Ilva, sono la stessa cosa» perché Laghi «giocava con tre mazzi di carte, sia da una parte che dall’altra», esercitando «un ruolo dubbio» tra Taranto e Milano. E quindi «Laghi, Capristo e Renzi erano tutta una cosa nella gestione finale del patteggiamento» con cui l’Ilva cercava di sfilarsi a buon mercato dal maxiprocesso “ambiente svenduto”.