Cronache
Don Roberto e la retorica sulla sua morte: intervista a Lorenzo, ex clochard
L’Italia intera è stata sconvolta dall’omicidio di don Roberto Malgesini, ma chi gli stava vicino si scaglia contro l'ipocrisia di chi, in vita, lo ostacolava
La morte di don Roberto Malgesini ha scosso i tanti che lo conoscevano, e parole di cordoglio, indignazione o accusa sono arrivate da numerose istituzioni, anche da chi non lo aveva mai incontrato. Affaritaliani.it ha intervistato chi, invece, don Roberto l’ha conosciuto, e anche bene, perché da lui è stato aiutato nel periodo più difficile della propria vita: quando si è trovato a dormire per strada, proprio in quella Como dove don Roberto è stato ucciso il 15 settembre 2020.
Lorenzo (che preferisce non far sapere il proprio cognome) è un ex clochard, che oggi si sta ricostruendo una vita in provincia di Milano, ospitato dalla Fattoria Capre e Cavoli, un’associazione di Mesero che prende in cura animali salvati da situazioni di sfruttamento e abbandono, promuovendo le visite, in particolare dei bambini, per trasmettere “il rispetto della vita in ogni sua forma”.
Lorenzo, come hai incontrato don Roberto?
L’ho conosciuto circa due anni fa, ancora prima di trovarmi a vivere per strada. Don Roberto era l’unico prete di Como che passava la mattina, con la sua macchina, a prendere in consegna cibo e bevande calde e portarli per colazione a noi che dormivamo all’aperto. Supportava i carcerati, faceva il volontario alla mensa dei poveri, di qualsiasi aiuto avessi bisogno, lui ti dava una mano: cibo, conforto, mai soldi, a meno che non fosse sicuro che venissero spesi per medicine o cose importanti, magari da poveri con figli da mantenere. Era una gran brava persona, quello che poteva fare lo faceva col cuore.
Come hai appreso della sua morte?
Per caso, ascoltando la radio. Quando ho sentito la notizia per la prima volta non avevano detto il suo nome, ma ho capito subito che si trattava di lui, perché era davvero l’unico prete di Como che scendeva per strada tra i poveri e i senzatetto. Ci sono rimasto di sasso. Ma poi, in televisione, ho visto tanti politici e uomini di chiesa commentare la notizia, e lì mi è venuta tanta amarezza.
Per quale motivo?
Troppa retorica. Quando era in vita, di tutta quella gente, chi lo aiutava? Per esempio, il sindaco di Como che ha dichiarato il lutto cittadino è lo stesso che ha voluto la legge anti-bivacco. Io ero presente quando, un giorno all’improvviso, è arrivata la polizia municipale e ha fermato l’attività di don Roberto che stava distribuendo da mangiare a noi senzatetto: in quell’occasione, però, il sindaco non ha detto una parola in sua difesa. E anche tra gli uomini di chiesa che adesso lo piangono c’è chi lo voleva cacciare dalla parrocchia perché portandoci noi poveri ne rovinava l’immagine e faceva scappare i fedeli perbene.
Lorenzo, dicci qualcosa di te: quali progetti hai per il futuro?
Adesso sono alla Fattoria Capre e Cavoli con il mio cane Thor e gli altri animali e volontari dell’associazione. Faccio il volontario anch’io, aiuto come posso, le cose da fare sono sempre tante, e ci sto bene, veramente bene. Se trovassi un lavoro sarei contento, ma ho 61 anni, e anche restare qui sarebbe una bella prospettiva.