Cronache
"È una bomba". "Si arriva a Renzi". Indagini sulle frasi dei carabinieri
Usò queste parole l’ex capitano del Noe dei carabinieri Gianpaolo Scafarto
«Scoppierà un casino, arriviamo a Renzi». Usò queste parole l’ex capitano del Noe dei carabinieri Gianpaolo Scafarto — promosso maggiore e destinato ad altro incarico, indagato per falso dalla Procura di Roma nell’ambito dell’indagine sul caso Consip — al procuratore di Modena Lucia Musti, in un colloquio avvenuto nell’ufficio del magistrato. La Musti ha riferito questa circostanza al Csm durante un’audizione a luglio; la frase - si legge sul Corriere della Sera - fu pronunciata all’inizio di settembre 2016, 4 mesi prima del deposito dell’informativa agli uffici giudiziari di Roma e Napoli in cui lo stesso Scafarto avrebbe inserito alcune notizie non veritiere, come quella in cui l’affermazione «l’ultima volta che ho incontrato Renzi» (inteso Tiziano, cioè il padre dell’ex premier) viene attribuita all’imprenditore Alfredo Romeo, mentre invece era dell’ex parlamentare Italo Bocchino, e riferita al figlio Matteo.
Il procuratore Musti non gradì questa anticipazione di Scafarto sugli sviluppi di un lavoro che stava portando avanti con un’altra Procura, violando il segreto investigativo; anzi, pensò che quell’ufficiale fosse poco serio, e una simile confidenza tutt’altro che normale. Non fece altre domande e da allora respinse ogni altra richiesta d’incontro da parte del capitano, che le mandava messaggi per vederla con una certa insistenza. In seguito, quando vennero fuori prima le anticipazioni sul «caso Consip» che convolgeva Tiziano Renzi e poi le notizie sulle accuse a Scafarto, il magistrato capì che il carabiniere gli stava annunciando proprio i risultati di quell’indagine, e il conseguente clamore che avrebbero suscitato.
Del resto — sostiene Musti — non era stato solo Scafarto a parlarle in termini quasi scandalistici delle inchieste che i carabinieri del Noe stavano conducendo. L’anno prima, poco dopo che a Modena era stato trasmesso uno stralcio dell’indagine su un’altra vicenda di presunta corruzione, il caso Cpl-Concordia, con allegata l’informativa redatta dagli stessi investigatori in cui erano state inserite alcune telefonate intercettate tra il generale della Guardia di finanza Michele Adinolfi e l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, il colonnello Sergio De Caprio (l’ex capitano Ultimo, che arrestò Totò Riina), all’epoca comandante del Noe, le avrebbe detto: «Lei ha una bomba in mano, se vuole la può fare esplodere». Anche in quel momento Musti riferisce di aver pensato che quei carabinieri erano degli «esagitati», e che prima si fosse liberata di quel fascicolo definendo le posizioni dei suoi indagati e meglio sarebbe stato.
L’audizione di Musti al Csm risale al 17 luglio scorso, e rientra in un accertamento avviato dalla prima commissione del Consiglio (competente sui trasferimenti d’ufficio dei magistrati per «incompatibilità ambientale») che indaga sulla fuga di notizie del luglio 2015 riguardante proprio le telefonate tra l’ex premier e Adinolfi, risalenti al gennaio 2014, nelle quali Renzi esprimeva giudizi poco lusinghieri su Enrico Letta e accennava alle mosse per sostituirlo a palazzo Chigi. L’informativa del Noe, originariamente indirizzata alla Procura di Napoli, era stata trasmessa per competenza anche a Modena ad aprile 2015, e tre mesi dopo il contenuto delle telefonate era finito sulle pagine del quotidiano Il Fatto. Sul caso Consip, a dicembre 2016, è successo qualcosa di simile: poco dopo che il fascicolo è passato da Napoli a Roma, sono comparse le prime notizie sul coinvolgimento di Renzi padre e altri dettagli, sullo stesso giornale. Di qui i sospetti sorti nei pensieri del procuratore Musti che — ha spiegato ancora al Csm — quando ha saputo che Scafarto era accusato addirittura di avere inserito nel rapporto su Consip informazioni false contro Renzi senior ha commentato: «Finalmente l’hanno preso».
L’indagine dell’organo di autogoverno dei giudici cerca di capire se sono individuabili responsabilità di magistrati nelle rivelazioni sulla vicenda Cpl-Concordia, che a Napoli era condotta dai pm Henry John Woodcock e Celeste Carrano, gli stessi del caso Consip. Ma ieri il verbale dell’audizione di Musti e delle testimonianze rese dal procuratore aggiunto Nunzio Fragliasso e dal procuratore generale Luigi Riello, sono stati inviati alla Procura di Roma, che indaga su Scafarto per falso (ma anche su Woodcock per violazione di segreto) perché «meritevoli di un approfondimento».
Il fatto che l’ex capitano del Noe abbia detto a Musti, quattro mesi prima di consegnare l’informativa e anche prima che fosse registrata la famosa frase «Renzi l’ultima volta che l’ho incontrato» falsamente attribuita a Romeo («assume straordinario valore e consente di inchiodare alle sue responsabilità il Renzi Tiziano», scrisse Scafarto nel rapporto), potrebbe far immaginare che l’obiettivo dei carabinieri fosse proprio il padre dell’ex premier. Come se fosse un possibile movente della successiva manipolazione dell’intercettazione. E chi volesse ipotizzare che quello fosse lo scopo dei falsi contestati a Scafarto (tra cui i presunti interessamenti dei servizi segreti controllati dal presidente del Consiglio dell’epoca, Matteo Renzi), ora avrebbe un motivo in più per sostenerlo. Casualmente proprio ieri, a proposito dell’indagine Consip su cui da tempo chiede di svelare tutti i retroscena, l’ex premier ha dichiarato: «Noi vogliamo la verità, non persone che appartengono all’Arma dei carabinieri e si avvalgono della facoltà di non rispondere»; il riferimento è al silenzio opposto da Scafarto ai pm romani che tre giorni fa l’hanno riconvocato per interrogarlo.
Sulla fuga di notizie relativa alle telefonate tra Renzi e Adinolfi contenute nell’indagine Cpl-Concordia, il procuratore Musti ha riferito fatti e espresso opinioni che suonano molto critiche nei confronti dei carabinieri del Noe, ma da cui si possono desumere perplessità anche sul comportamento dei colleghi napoletani. Il punto critico è la trasmissione dell’informativa completa, di quasi 600 pagine, in cui c’era il capitolo dedicato al generale Adinolfi, che con la parte d’inchiesta passata per competenza a Modena non aveva nulla a che fare. A Napoli i pm l’avevano omissato, ma in Emilia l’informativa fu trasmessa — tramite Scafarto, che lo consegnò personalmente a Musti in un plico non sigillato — completa di quella parte che poi uscì su Il Fatto. Come mai questo sia avvenuto, senza che lei fosse stata informata nemmeno a voce da Woodcock che c’erano intercettazioni destinate a rimanere riservate, Musti ha detto di non saperlo spiegare. Né ha potuto escludere che il gip di Modena, al quale il suo ufficio passò le carte, le avesse messe a disposizione degli avvocati.
Quello che invece ha sottolineato in più occasioni durante la sua audizione, sono giudizi espliciti e molto taglienti nei confronti dei carabinieri del Noe: quell’informativa, ha spiegato, è un esempio di come non si devono fare, è «fatta coi piedi», gonfia di espressioni molti simili a «chiacchiere da bar» anziché a fatti accertati. Il fatto che De Caprio le avesse parlato in quei termini («una bomba») la irritò non poco, e le anticipazioni di Scafarto sul «casino» che stavano per far esplodere con l’indagine napoletana condotta da Woodcock le fecero nascere ulteriori sospetti. Confermati dalle successive accuse a carico dell’ex capitano. Perché «uno più uno fa due».