Bambino con avvoltoio: la maledizione della foto più controversa degli anni 90
Kevin Carter vinse il Premio Pulitzer per il suo reportage fotografico sulla povertà in Sudan, ma ne rimase segnato per sempre fino al tragico epilogo
Bambino con avvoltoio, lo scatto del fotoreporter sudafricano Kevin Carter vincitore del Premio Pulitzer per la Fotografia nel 1994, ricompare periodicamente sui social network riaprendo all'istante tutte le ferite che si celano dietro quel ritratto agghiacciante. L'immagine del bimbo di colore accasciato su se stesso, denutrito e sofferente, e minacciato dallo sguardo torvo di un avvoltoio posato a qualche metro alle sue spalle suscitò una marea di polemiche all'epoca della sua pubblicazione e, pur segnando il successo professionale del suo autore, ne segnò irrimediabilmente anche l'esistenza.
Come una maledizione, quell'immagine non cessò più di tormentare le sue notti, assieme alle tante altre scattate in quella famigerata tappa in Sudan, dove immortalò in tutta la sua feroce crudezza la povertà e la miseria della popolazione locale. Pubblicata sul New York Times il 23 marzo del 1993, Bambino con Avvoltoio (in originale Stricken Child crawling towards a Food Camp, bambino sofferente striscia verso un "campo rifornimenti") colpì al cuore le coscienze degli occidentali ma scatenò contro Carter una serie di bieche illazioni. Molti sostennero infatti che il fotografo aveva deliberatamente trascurato di aiutare il piccolo ed essersi limitato a scattare la foto cinicamente pochi istanti prima della morte, lasciandolo poi nelle grinfie dell'avvoltoio.
In seguito nel 2011, la testata El Mundo, indagando in loco, scoprì invece che il bambino era sopravvissuto alla carestia e si era ripreso, salvo poi morire qualche anno dopo di febbre. Ma era troppo tardi: il trauma di ciò che aveva documentato e le polemiche sterili seguite alla pubblicazione della fotografia, non avevano mai smesso di piagare l'animo del povero Carter, che il 27 luglio 1994, alla giovane età di 33 anni, decise di suicidarsi con i gas di scarico lasciando un tragico messaggio: "Sono depresso... senza soldi per l'affitto... senza soldi per i bambini... senza soldi! I ricordi di ciò che ho visto sono ancora vividi: bambini denutriti, violenza per le strade, stupri perpetrati dagli stessi poliziotti che dovrebbero tutelare la giustizia. Io me ne vado".
Carter, che faceva parte del Bang Bang Club, un gruppo di reporter specializzato nel documentare la barbarie della guerra civile in Sudafrica, alludeva anche alle violenze cui aveva assistito nella sua terra natale durante i giorni più bui dell'Apartheid, documentate dai suoi scatti crudi con cui ritraeva spietatamente la follia dell'odio cieco che non risparmia niente e nessuno. Ma è quel "bambino con avvoltoio" a tornare prepotentemente nell'immaginario collettivo quale scatto emblematico della morte e della miseria dell'animo umano. Una maledizione di cui, in tanti, ancora oggi sono vittime e che si delinea ancor più bruciante nel momento in cui il destino di tante persone sofferenti viene liquidato spesso con commenti crudeli o si consuma nell'indifferenza dei popoli e dei loro governanti.