Cronache
Il figlio di Musk cambia genere, l'Italia ipocrita critica ma non c'è niente di male
In questi giorni ha fatto scalpore la decisione del figlio di Elon Musk, Xavier, di cambiare genere e nome
Perchè l'identità gender fa così paura? I casi di Xavier Musk e Cloe Bianco che cosa ci insegnano
Nell’Italietta dei “vorrei ma non posso” ci si stupisce ancora, e si grida allo scandalo, se un uomo voglia mettersi le calze a rete o se a una donna piaccia radersi le guance al mattino. In un paese che fatica da sempre ad avere un’identità propria credibile e dignitosa, ecco che ipocritamente e malignamente ci si preoccupa dell’identità di genere altrui.
Ha fatto scalpore in questi giorni la decisione di Xavier, figlio appena diciottenne di Elon Musk, di voler cambiare genere (e nome) e, ancor di più, ha avuto risonanza l’infinita tristezza del caso della docente Cloe Bianco che si è tolta tragicamente la vita perché stanca dei continui sberleffi dei propri alunni. Ma cosa può, spesso, nascondersi dietro alla limitata, ingenua e non di rado violenta visione di un giovane studente?
In primis bisogna valutare l’ignoranza a monte: quella di uno Stato che non incentiva abbastanza l’educazione ai diritti primari, o dei mezzi di comunicazione arretrati e malati per lo più di gossip, per non dire di voyeurismo, o ancora di una scuola – è il caso di ricordarlo – appesantita da continue astrusità burocratiche e da ministri che sovente ridicolizzano se stessi e il mondo che rappresentano. A tal proposito credo che sarebbe tempo di pretendere per legge dei requisiti minimi per poter essere Ministro dell’Istruzione (magari da estendere a tutti i ministri) che comprendano almeno una laurea e un certo numero di anni di onorato insegnamento, meglio ancora se variato: dal precariato fino all’Accademia affinché, poi, lo stesso politico possa realmente conoscere i problemi e le necessità di quei professionisti frequentemente umiliati sotto ogni punto di vista.
Alcuni casi di ministri evidentemente inesperti del recente passato non dovrebbero più ripetersi, tanto per essere chiari, e aggiungo che molto farraginoso appare quanto sta proponendo il professore Patrizio Bianchi che evidentemente precario non lo è mai stato, oppure ne ha dimenticato le turbolenze.
Tornando al “gender problem” direi che ognuno dovrebbe essere libero di sentirsi uomo o donna indipendentemente dai connotati fisici di partenza in cui gli è toccato nascere (a volte il corpo può essere percepito come una vera e propria trappola). Si può essere, infatti, uomo dentro e donna fuori, e viceversa, senza che questo debba arrecare fastidio o danno a qualcun altro! Il genere finisce per essere un problema per se stessi e per il prossimo specie quando la società lo riconosce come tale, così come accade per la
sempre “famigerata” omosessualità o addirittura per la “grave colpa” di ritrovarsi alla nascita un colore di pelle diverso dal nostro.
Ricordo che in Inghilterra studiavo in un ambiente multirazziale e spesso nemmeno me ne accorgevo: la diversità etnica era solo un grande arricchimento per gli occhi e per il cuore. “Il diverso” (con accezione negativa) esiste solo quando siamo noi a percepirlo come tale, creandolo, determinandolo con la nostra visione ottenebrata, la nostra incultura, ritenendo l’altro da noi come un pericolo anziché come risorsa. La storia degli uomini è troppo spesso la storia di chi cresce con il mito della supremazia, vinto dalla bramosia del dominio, del possesso, del tutto e subito. Se pensiamo che fino a pochi decenni fa le donne in Italia non avevano il diritto al voto, capiamo da quale limitato retaggio culturale proveniamo.
Il presente, grazie anche ai media - che in questo sono davvero utili - delinea un mondo chiaro di diritti che dovremmo rispettare, ma la verità neo-medioevale, purtroppo, emerge prepotentemente dalla cronaca nera, tra femminicidi in costante aumento, conflitti, corruzione, prepotenze, violenze in ogni settore della nostra decantata e pretesa società civile, di quella società che condanna – per citare Shakespeare – “il mercante di Venezia” perché vuole (forse a ragione) vendicarsi delle offese ripetutamente subite del “buon” Antonio, e non si accorge di come la ferocia di Shylock nasca proprio dal ripudio immotivato dello stesso, poiché colpevole di “diversità”, nel caso specifico per essere Ebreo: “Non ha forse occhi un ebreo? Non ha mani, organi, membra, sensi, affetti e passioni? Non si nutre egli forse dello stesso cibo di cui si nutre un cristiano? [...] La stessa malvagità che voi ci insegnate sarà da me praticata, e non sarà certo difficile che io riesca persino ad andare oltre l'insegnamento”, afferma l’indimenticabile mercante nel suo famoso monologo ormai irremovibile nei suoi propositi di efferata rivincita.
Bisognerebbe, dunque, ripartire dal ri-conoscimento del merito, dalla bellezza, dall’intelligenza, dall’educazione, dall’accoglienza. La politica dell’odio e dell’invidia dovrebbe far posto alla politica del buono e del giusto (valori talmente lontani dal comune sentire contemporaneo da suonare
retorici). Bisogna necessariamente tutelare le minoranze. Il gender, il colore della pelle, la religione, non sono elementi a cui appellarsi per convincere e convincersi (direi illudersi) di essere migliori del prossimo.
Nessuna cultura è superiore ad un’altra!