Cronache
Il sonno degli “Immuni”, come e perché accettiamo ogni forma di tracciamento

Una app terrà traccia dei nostri spostamenti nella Fase 2 del Covid-19. Ma perché nessuno si ribella più?
Da quando non ci sono più guerre, contrasti fisici, da quando i soldati od i carri armati non invadono più le città, è diventato sempre più difficile avere contezza, percezione, della coercizione del diritto alla libertà. In fondo la libera economia del consumo, del commercio, lo sdoganamento della pornografia, del gioco, ecc., ci hanno dato un mucchio di diversivi per far sì che non ci ponessimo più domande esistenziali.
E poi le crisi dell’occupazione, i fallimenti, gli spread, le Borse in picchiata, i tassi d’interesse negativi sul conto corrente, abbiamo avuto molto da fare con problemi razionali da uomini adulti in giacca e cravatta, per lasciare spazio al “Chi sono? Dove vado? Qual è il mio scopo? Qual è il più alto concetto di benessere?”.
“Ognuno di noi può fare un tweet o postare una foto: certo che siamo liberi!” Poi però abbiamo scoperto che ci sono gli algoritmi, le inserzioni, che le parole hanno un peso maggiore se veicolate da investimenti monetari, ci sono le censure, i bollini di “fake o good news” anche su teorie scomode, non solo ciarlatane.
Il mainstream, il mondo digitale, il megafono, ha i tag, le keywords, le segnalazioni, ha un sistema di filtri molto accurati e di inglesismi che non sappiamo più tradurre, perché non abbiamo parole a corredo nella nostra lingua per comprenderli alla radice e per nel caso esprimere dissenso. Viviamo nella cosiddetta bolla di filtraggio.
Bevi un caffè al bar all’angolo, e senza che tu avessi installato nessuna app, ti appare la notifica: “Com’era il Bar X?”, il Telepass sa esattamente ogni casello in entrata ed in uscita che abbiamo percorso, la carta di credito conosce il ristorante o la fuga al mare dove abbiamo preso il gioiello all’amante, ed i microfoni che ci siamo messi in casa per dire: “Accendi le luci”, poi restano con l’orecchio virtuale posato su molte altre cose reali della nostra esistenza.
Un ministro francese a Le Figaro ha commentato: “Se dici che non sei residente fiscale in Francia ma continui a pubblicare foto su Instagram dalla Francia, potrebbe esserci un problema.”
In Italia con la circolare n.16/E del 28 aprile 2016 l’Agenzia delle Entrate, per contrastare l’evasione fiscale, può attingere alle informazioni provenienti dalle banche dati ed altre fonti, come articoli di giornale, siti internet, social network, per stanare incongruenze tra la vita fiscale nota all’Ente, e quella di fatto postata in rete.
Pratica ormai diffusa anche nelle cause di divorzio - ad esempio se il coniuge si rifiuta di pagare il mantenimento - oppure per provare che la capacità finanziaria del medesimo sia superiore al fine di maggiorare l’assegno di ristoro. Un amico incappato in questo meccanismo una volta mi fa: “Papà mi ha regalato il viaggio con la mia nuova compagna, ma la mia ex ha contestato le foto davanti al Giudice.”
La Cassazione con sentenza numero 308 del 10 gennaio 2020 ha stabilito anche che le foto tratte da Google Maps, sono prove valide e convincenti. Nella fattispecie è stata condannata una società d’inserzioni pubblicitarie per il recupero di una imposta non versata da 4 anni.
Ora, Instagram nato come piattaforma per condividere liberamente scatti con amici e followers, ad un certo punto viene preso dallo Stato come strumento probatorio e contundente per mille altri risvolti che non avremmo mai immaginato. Siamo figli del principio della rana bollita, ci siamo addormentati in uno status quo in cui ci prendono porzioni di libertà a fuoco lento, ma quando siamo arsi è troppo tardi per reagire.
Tutto questo per dire che l’humus, il terreno di coltura della resistenza, si è pian pianino narcotizzato. Obnubilati dalla paura e dalla tempesta di condanne morali, non riusciamo più a pensare, criticare, analizzare, alcuna misura. Tutto è rapido, e nel frattempo che dibattiamo, in vigore.
Supponiamo sempre che tanto noi siamo nel giusto, chi potrà mai dirci niente? Gli altri violano le leggi, mica noi. Ad esempio quando la tv ci mostra chi aggira le restrizioni da Covid-19, ci arrabbiamo, poi però prendiamo la multa perché abbiamo comprato più vino che pasta al supermercato e tutto questo ci pare profondamente ingiusto e spropositato. “Gli altri” improvvisamente smettono di esistere nell’ipnosi collettiva, e ci sei tu e l’obolo da pagare.
Il problema è che da principio è sempre stato così, ma abbiamo creduto ad una narrazione che ci parlava di etica, per poi ammanettarci senza proporzioni di misura. Adesso ci immergeremo nella Fase 2 del Covid-19: “O introduciamo l’app di tracciamento sullo smartphone, o rimaniamo chiusi in casa”. Questo modo di enunciare i fatti ci fa propendere per il “danno minore”, come se non esistesse altra via, come se tutto si limitasse a due opzioni veicolate.
Interessante il nome scelto per l’applicativo da installare sui nostri dispositivi mobili: “Immuni”. Ci hanno assicurato che non sarà obbligatorio scaricarlo, che non sarà attivo il GPS, ma che per chi lo installerà “ci saranno facilitazioni sanitarie”. Abbiamo già visto tuttavia come ogni nuovo contenitore arbitrario che nasce, ad un certo punto diventa rigido ed imprigionante. Quante altre porzioni di libertà civile, individuale, sociale - cederemo?
Di Andrea Lorusso
FB @andrealorusso1991