ANTEPRIMA/ "In missione", una vita sotto copertura - Affaritaliani.it

Cronache

ANTEPRIMA/ "In missione", una vita sotto copertura

I segreti dell'agente Kasper in un libro di Chiarelettere

“E se a forza di stare con loro fossi diventato anch’io un criminale? Dov’è il confine? Non te lo spiega nessuno, lo devi scoprire da solo. Poi un giorno può arrivare un magistrato a decidere che quel limite l’hai oltrepassato.”

Vincenzo Fenili alias Agente Kasper

Le missioni e i segreti inconfessabili di UN AGENTE SOTTO COPERTURA. In Colombia è stato il COMANDANTE CARLOS, pilota d’aereo infiltrato tra i narcos. In Cambogia, nome in codice KASPER. Uomo di GLADIO, esperto di armi e arti marziali, ha incastrato narcotrafficanti e braccato terroristi. Sulle sue spalle anche 373 giorni d’inferno nel carcere cambogiano di Prey Sar e trent’anni di misteri. Cadute le sue mille maschere, per la prima volta Vincenzo Fenili decide di disobbedire a un ordine. Cham Hammer è la sua ULTIMA SCONVOLGENTE MISSIONE contro l’oscura minaccia del terrorismo islamico che incombe su Roma. Un’intera esistenza al servizio del proprio paese, sacrificando tutto. Ora però troppe cose non tornano. I superiori vorrebbero comprare il suo silenzio, fargli chiudere gli occhi su una storia che riemerge dal passato e fa molta, troppa paura. Basterebbe accettare il compromesso per dimenticare tutto e ricominciare davvero, proprio adesso che Vincenzo ha così tanto da perdere: una moglie, una figlia, la sua vita finalmente normale. Ma se sei stato un agente sotto copertura, sarai un agente sotto copertura per sempre. Azione, tradimenti, ricatti, un racconto travolgente, tutto in prima persona, che cattura e trascina il lettore nel mondo opaco dello spionaggio internazionale per provare a delineare una volta per tutte il confine sottilissimo tra necessità e interesse, tra il bene e il male. O per scoprire che quel confine non esiste.

L'AUTORE

Nato a Firenze nel 1958, VINCENZO FENILI fa il primo lancio con il paracadute nel 1977 e due anni dopo entra nell’Arma dei Carabinieri. Nel 1980 riceve il brevetto di pilota e viene arruolato nel network di GLADIO partecipando a numerose missioni fra le quali la rendition di un noto brigatista nero rifugiatosi in Paraguay e un’operazione di controinformazione tra Sudafrica ed Europa. Nel frattempo accumula migliaia di ore di volo su jet e diventa pilota istruttore. A guerra fredda conclusa, dopo aver operato sul fronte balcanico nel corso del conflitto nella ex Iugoslavia, diventa contractor del Ros, che gli chiede di partecipare come agente sotto copertura, usando la sua qualifica di pilota Alitalia, a DUE GRANDI OPERAZIONI CONTRO IL TRAFFICO INTERNAZIONALE DI STUPEFACENTI: le operazioni Pilota e Sinai. Alla fine degli anni Novanta, ormai “bruciato”, Fenili lascia la compagnia di bandiera e si trasferisce a Phnom Penh, in Cambogia, dove È IMPEGNATO NEL CONTRASTO AL RICICLAGGIO INTERNAZIONALE. Il suo primo libro, Supernotes (con Luigi Carletti, Mondadori 2014), è stato tradotto in tutto il mondo e prossimamente diventerà un film. Le clamorose rivelazioni riportate in Supernotes non sono mai state contraddette né smentite nei fatti.

ESTRATTO DAL LIBRO "IN MISSIONE", (per gentile concessione di Chiarelettere)

Sono sul posto con largo anticipo, come sempre. Un’auto viene verso di me, accosta, io osservo prima il guidatore e poi l’uomo accanto a lui. Faccio un passo indietro, scendono, continuo a studiarli, nessun pericolo, abbasso la guardia. Controllo l’ora un’altra volta, è ancora presto e mi torna in mente una scena di Eyes wide shut. Tom Cruise, medico, incontra un suo vecchio compagno di università che ha lasciato Medicina e ora fa il cantante di pianobar. «Ma tu invece cosa fai?» chiede a Cruise.

«Once a doctor, always a doctor» è la sua risposta. Io, mio malgrado, potrei rispondere la stessa cosa: «Once a spy, always a spy». Per tre decenni non ho fatto altro che analizzare preventivamente il terreno di gioco, pianificare le mie mosse, studiare e anticipare quelle dell’avversario, da sempre pronto ad affrontare un potenziale nemico forse meglio armato ma difficilmente più addestrato. Il mio fuoristrada e il mio kit standard sono lì a ricordarmelo: la speciale mazza sempre a portata di mano per sfondare il vetro e mettersi in salvo in caso di emergenza, il «tiro» di corda con l’attrezzatura da arrampicata, il paracadute ellittico Katana da 180 piedi nella borsa (capsula barometrica spenta e spinotti al loro posto) e altri strumenti del mestiere infilati in un vecchio zaino israeliano.

Questo sono io. Con la mia abitudine a con- trollare continuamente gli specchietti, a stare allerta quando una moto con due passeggeri nascosti dal casco mi affianca per superarmi, a individuare una possibile via di fuga da un negozio anche se sto entrando per comprare il regalo di anniversario per mia moglie o quello di compleanno per la mia bambina: sono il prodotto di quello che mi hanno insegnato. Anche il mio è un mestiere, benché sia più difficile da spiegare, seduti a cena, in compagnia di amici. Mentre aspetto, seziono con lo sguardo il marciapiede in cerca di qualcosa fuori posto: visi e movimenti sospetti, scooter col motore acceso. Mi chiedo se sono troppo paranoico ma, con- temporaneamente, mi scorrono in sequenza davanti agli occhi le facce dei nemici che mi sono fatto negli anni. Uomini che mi credevano uno di loro, che mi hanno regalato la loro fiducia in un mondo di lupi, che mi hanno accolto nelle loro case fino ad allora riservate solo ai fratelli, agli amici più stretti. Criminali che si sono affezionati a me e poi un giorno, senza alcuna avvisaglia, si sono ritrovati con le manette ai polsi. Trascinati via di forza, infilati in un’auto e poi sbattuti in carcere, dopo aver subito perquisizioni orrende.

Ancora increduli, sorpresi: che cosa è successo? Finché si mettono a pensare, ripercorrono gli eventi, e all’improvviso tutto è chiaro. Lo sanno e si odiano per essere stati così stupidi. «È stato Carlos, Kasper, il pilota – quanti nomi ho usato –, è stato lui!» Uno smacco, quello che hanno subito per colpa mia, dal quale non si guarisce mai. E quindi mi chiedo: perché non dovrebbero volermi uccidere? Anche dopo anni, decenni, secoli? Guardo un paio di scarpe in una vetrina e mi scopro a ridere nel riflesso del vetro. Mezz’ora, manca ancora mezz’ora, ne approfitto per fare avanti e indietro su viale dei Parioli.

Passeggio accanto alle villette eleganti delle stradine laterali e mi porto all’ingresso del parco di Villa Ada: a destra, in lontananza, la palazzina del comando del Ros che per anni è stata una delle mie tappe romane; a sinistra, qualche signora ben vestita che accompagna i figli a scuola. Mi stupisco nel vedere le strade piene di gente, di auto, di luci, e mi accorgo di quanto poco tempo io trascorra ormai in città: «Sono andato a letto presto» diceva il personaggio di un altro film famoso a chi gli chiedeva cosa avesse fatto negli ultimi anni. E io, che cos’ho fatto io? Sono stato a casa, a rimettere a posto tutti i pezzi, dentro e attorno a me.