Cronache

Lo Stato è incapace di gestire i beni confiscati. I buchi del codice antimafia

di Ulisse Spinnato Vega

Montagne di debiti scaricati sugli amministratori giudiziari che hanno preso in gestione beni e società confiscate


Il caso di Cristiana Rossi comunque non è isolato. Ad Affaritaliani risultano situazioni di suoi colleghi che si sono ritrovati loro malgrado segnalati alla Crif e iscritti alla centrale rischi come cattivi pagatori. Ecco allora i cahiers de doléance degli amministratori giudiziari sulla macchina della gestione dei beni confiscati e sul Codice antimafia, del quale chiedono precise modifiche.

“Intanto bisogna formare meglio i dipendenti delle Pa interessate (Ade, Ader, Inps, Inail…) e fornire loro strumenti adeguati per rapportarsi in modo corretto con il provvedimento di sequestro o confisca, con l’autorità giudiziaria e i suoi ausiliari. Altrimenti poi accade che promuovano azioni di recupero dei crediti erariali o contributivi rivalendosi sul patrimonio personale dell’amministratore giudiziario”, ragiona Rossi. Spesso, infatti, per insipienza o inadeguatezza dei software, le agenzie fiscali o gli enti pubblici non economici non sono in grado di distinguere la figura professionale dell’amministratore giudiziario dal soggetto sottoposto a misura, che si tratti di una ditta individuale o di una società.

Il Codice antimafia attuale “non offre all’amministratore giudiziario tutele adeguate opponibili anche nei confronti della Pa – prosegue Rossi – La stessa tutela è necessaria a beneficio degli eventuali amministratori nominati dallo stesso amministratore giudiziario o dal giudice delegato, trattandosi comunque di un ruolo svolto in favore della procedura antimafia”.

Infine, malgrado l’ultima riforma del 2017 preveda il subentro dell’Anbsc nella carica di amministratore giudiziario dal secondo grado di giudizio, “sarebbe opportuno e molto più utile, per il buon esito delle procedure, rinviarne il subentro al momento della confisca definitiva, in modo che l’Agenzia possa occuparsi in via esclusiva della fase di destinazione dei patrimoni confiscati”, conclude la professionista.

Insomma, le Entrate o l’Inps devono dialogare meglio con i tribunali. Servirebbero dei protocolli per istituire delle buone prassi sulla riscossione a carico delle imprese in amministrazione giudiziaria: un nodo su cui il Codice antimafia appare suscettibile di migliorie. Intanto Cristiana Rossi ha preso in carico una nuova procedura: “Se le posizioni continuano a essere collegate al mio codice fiscale, rischio di vedermi di nuovo bloccati i compensi per anni”. Ma la speranza è che finalmente lo Stato si concentri a combattere l’economia delle mafie, non chi prova a salvare l’economia dalle mafie.