Luca Materazzo, l'italico buonismo difende il compagno che sbaglia - Affaritaliani.it

Cronache

Luca Materazzo, l'italico buonismo difende il compagno che sbaglia

Pietro Mancini

Sferrò 50 coltellate, a sangue freddo, con l'unico obiettivo di stecchirlo. Luca Materazzo, 38 anni, è stato stangato per l'omicidio del fratello, Vittorio, 51. I giudici della prima sezione della Corte d'Assise di Napoli hanno condannato al massimo della pena, l’ergastolo, il fratello dell'ingegnere assassinato, barbaramente, il 28 novembre 2016. I giudici non hanno concesso nemmeno le attenuanti generiche, come richiesto dal pm, Francesca De Renzis, secondo cui l'imputato agì “per motivi abietti” e non merita il riconoscimento di alcuna  circostanza attenuante.

Un omicidio premeditato, dunque, realizzato, in maniera spietata, a cui seguì una fuga all'estero, per sfuggire all'arresto, e un comportamento processuale, che ai magistrati è sembrato, chiaramente, avere un unico obiettivo: dilatare quanto più possibile i tempi del processo. Materazzo ha, infatti, cambiato difensore per ben 15 volte.

Il delitto è stato eseguito nel “salotto buono” di Napoli, a Chiaia. Belle case, lontane dagli squallidi vicoli, teatri dei fattacci di cronaca nera, e dai morti ammazzati dalla camorra. Alta borghesia, marchiata da un velo di sangue, che  avvolse quelle strade signorili, quei negozi eleganti e la famiglia Materazzo. Già colpita dalla morte del padre, don Lucio, a seguito della quale i rapporti tra i due fratelli si fecero sempre più tesi. E, proprio in virtù di tali contrasti, i primi sospetti caddero proprio su Luca.


Un’eredità milionaria da dividere in sei, tra questi c’è anche l’ergastolano (ma la condanna è rivedibile in appello) e la vedova di Vittorio, che dice :”È giusta la pena appioppata a mio cognato”. “Il Corriere del Mezzogiorno” di Napoli ha dedicato 2 pagine (lo stesso spazio riservato ai nuovi giocatori del Napoli) all’intervista-sgub all’ergastolano, corredate da foto di Luca sorridente. È stato presentato come un detenuto-modello, solidale con gli altri reclusi, che vivrebbe in carcere, addirittura, con entusiasmo, dedicandosi allo studio e allo sport.

Ma, chiede, timidamente, la giornalista a Materazzo- che si autodefinisce “diversamente libero”- lei non è mai tormentato da brutti pensieri ? “Ci sono, ma quel che mi tormenta di più è che la stampa abbia raccontato il mio passato familiare, e le mie vicende processuali, in maniera non corrispondente alla realtà”. Neppure una parola di rimorso sull’efferato delitto e di rimpianto per aver lasciato orfani i due figli del fratello. Un atteggiamento sprezzante in sintonia con quello delle sorelle del condannato, che parlano di  Luca come di “un ragazzo un po’ vivace, ma buono, dolce, che ha avuto solo il torto di distaccarsi dalla famiglia e di non farsi aiutare”.

Non è nuovo questo italico buonismo, veltroniano, con i “compagni che sbagliano”, pronto ad esprimere simpatia, comprensione, perdono e a non escludere maxi-sconti di pena e benefici, per gli assassini, in primis per quelli provenienti da famiglie agiate.  Dal giornale campano, che ha dedicato tanto risalto alle “sofferenze” di Luca, auspichiamo che venga dato un analogo spazio alla vedova, Elena Grande, che ha pianto, dopo la condanna  di suo cognato. È scoppiata in lacrime perché, con quella sentenza, è venuto meno ogni altro appiglio: è stato-dovrà dire ai suoi figli- «zio Luca» a strappare il vostro papà agli affetti della famiglia.

“Il dolore è, innanzitutto, mio e dei miei ragazzi”, dice donna Elena, dignitosa ma adirata con le cognate, troppo affettuose e comprensive con Luca. “Si sforzano di far apparire l’assassino di mio marito meritevole di benevolenza, mentre Vittorio viene descritto come un violento. Tesi false, smentite da tutte le evidenze processuali  e improponibili alla luce della condanna al “fine pena mai” (o quasi mai....), inflitta a Luca Materazzo, il Caino degli anni 2000.