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Cronache
Mancata zona rossa a Bergamo, "militari mandati senza atto del governo"

Mancata zona rossa a Bergamo, i militari vennero mandati a mettere in lockdown la Val Seriana senza nessun atto del governo. La risposta del ministero dell'Interno

Non c’è stato alcun atto governativo specifico di impiego delle forze militari nelle zone di Nembro e Alzano”. Così i legali del Ministero dell’Interno hanno replicato alla richiesta del Consiglio di Stato di spiegare perché non voglia rendere pubblici gli atti sulla base dei quali 400 uomini e donne, tra carabinieri, polizia, guardia di finanza ed esercito, vennero inviati nella Bassa Bergmasca il 5 marzo 2020 e poi ritirati 3 giorni dopo, determinando la "mancata zona rossa" in anticipo sul lockdown nazionale. Atti che chiarirebbero una volta per tutte gli attori e i perché della decisione di rinviare la chiusura della Val Seriana.

Non si possono rivelare per tutelare l'ordine pubblico 

L'iter all'interno del quale rientra il documento è cominciato un anno e mezzo fa quando l'Agi ha presentato la richiesta di accesso agli atti al Ministero per avere chiarimenti sulla vicenda, ora al centro anche dell’indagine della Procura di Bergamo. La mancata chiusura, infatti, potrebbe aver aggravato la situazione in uno dei primi focolai Covid più aggressivi al mondo. Mentre Codogno, Vo’ Euganeo e altri centri italiani del Nord Italia erano già in lockdown, in Val Seriana - tra le zone più compromesse dall'epidemia in quella fase - le disposizioni sono altre.

A poco più di un mese fa risale la richiesta dei giudici al Ministero di rendere "documentati chiarimenti entro 30 giorni”  sulle ragioni che giustificavano il "no" all'accesso agli atti. 

Svelare questi aspetti, è stato spiegato, costringerebbe l’amministrazione “a ostendere l’intero piano d’impiego del contingente militare sul territorio nazionale, non essendoci stato alcun atto governativo specifico di impiego  delle forze militari nelle zone di Nembro e Alzano. E ove pure ci fosse stato uno specifico atto governativo – si legge nella memoria del Ministero dell’Interno – non certamente tale atto avrebbe potuto disporre dell’impiego operativo dei contingenti militari assegnati, essendo tale impiego rimesso alle complesse procedure delineate per l’adozione del decreto del ministero dell’Interno e del ministero della Difesa”.

Non rendere noti questi documenti viene incontro alla “necessità di evitare un pregiudizio concreto e attuale alla tutela degli interessi pubblici”, hanno dichiarato i legali del Ministero. Tra i riferimenti il Ministero ha in particolare citato - nella sua risposta - l’Operazione Strade Sicure per il “contrasto alla criminalità e al terrorismo attraverso l’impiego di un contingente di personale militare delle forze dell’ordine”, una risposta parziale in quanto darebbe conto (sotto l'espressione "forze militari") solo dell'Esercito, tralasciando invece Polizia, Fiamme Gialle e Arma.

La zona rossa venne chiesta dal Cts nella seduta del 3 marzo 2020 ma la proposta non venne accolta dal governo. All'Agi però risultano dei fonogrammi del Viminale coi quali fu chiesto di organizzare l'invio delle forze dell'ordine.    

Due anni di pronunce contraddittorie della giustizia   

Il primo muro del Ministero all’Agi fu innalzato il 6 novembre del 2020. Si negavano “gli atti inerenti l’impiego e il ritiro dei militari nelle zone dei Comuni di Nembro e Alzano” richiamandosi alle “cause di esclusione” previste dalla legge cioè “la sicurezza e l’ordine pubblico”, la “sicurezza nazionale”, “la difesa e le questioni militari”, “la conduzione dei reati e il loro perseguimento”.

Il Tar, a cui l’Agi si era rivolta attraverso un ricorso firmato dall’avvocato Gianluca Castagnino, stabilì che il ministero dovesse rendere pubblici i documenti sottolineando che l’accesso civico “è finalizzato a favorire forme di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”.

Secondo i giudici Francesco Arzillo e Daniele Bongiovanni, rendere pubbliche le carte inoltre non avrebbe comportato nessun pericolo perché “la richiesta è stata formulata nel settembre 2020 quando la questione della ‘chiusura’ delle aree era superata da tempo”, “si tratta di un’attività di impiego di militari in un ambito toponomastico e temporale circoscritto e non si inquadra in un contesto più ampio finalizzato alle modalità di contrasto al crimine e di tutela della sicurezza pubblica, tanto che una loro divulgazione vanificherebbe la strategia individuata dalle forze di polizia”.

Una tesi opposta rispetto a quella sostenuta invece dal governo, che inserisce adesso il "no" in un contesto di generale riservatezza, non riferito al singolo caso. Il procuratore di Bergamo, Antonio Chiappani, aveva assicurato ai giudici amministrativi che dal suo punto di vista non sono atti coperti da segreto.

Il Consiglio di Stato aveva sospeso la pronuncia del Tar e chiesto chiarimenti (arrivati ora) dal Ministero che saranno quindi valutati dai giudici. Intanto rimangono solo ombre su come andarono le cose in uno degli episodi più controversi nella gestione della pandemia.    

 

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