Cronache

Messina Denaro ovvero la banalità del male: che cosa resta? Soldi e sangue

di Giampietro Savuto*

Da protagonista di una leggenda nera al grigiore di un'esistenza segnata dalla malattia: visto da vicino poco rimane del fascino perverso che circondava il boss

Cambiare lo sguardo sulla realtà: è l'obiettivo di FuoriTestata, il giornale di psicologia della Fondazione Lighea Onlus che si propone di andare oltre. Oltre la cronaca, oltre la superficie dei fatti, per capire un po' di più di ognuno di noi. Con questo articolo prende il via la collaborazione con Affaritaliani.it. 

Messina Denaro, la comparsa di Matteo 

Lunghi anni di latitanza e il mistero di cui si è circondato hanno fatto dell’inafferrabile Matteo Messina Denaro un personaggio da romanzo, il protagonista di una leggenda nera capace di entrare nell’immaginario collettivo. La realtà svelata dalla cattura ha ridimensionato tale leggenda, rivelando il grigiore di un’esistenza che ben esprime la banalità del male.

L’abbiamo finalmente visto il boss dei boss, il latitante imprendibile: un uomo dall’aspetto mediocre, vistosamente segnato dalla malattia. Una delusione rispetto alla leggenda nera, costruita grazie al mistero di un individuo depositario di inconfessabili segreti diventato ombra. Il mistero, alimentando proiezioni fantastiche, ha favorito la costruzione di un personaggio capace di abitare l’immaginario collettivo. 

E allora ogni dettaglio di cui la cronaca giornalistica si sia impossessata, ogni particolare emerso dall’indagine ambientale, ogni parola carpita ai compaesani diventa una spia intorno alla quale formulare ipotesi, nel tentativo di costruire un profilo di personalità. E’ stato inventariato il suo guardaroba – capi firmati, collezione di rolex, occhiali alla moda, cosmetici di marca – un’ostentazione di lusso che traccia l’immagine di un uomo elegante e raffinato, un uomo di mondo, ben diverso dal primitivismo contadino di un Riina. Può esibire perfino il doppio cognome, che arieggia un’origine nobiliare, con quel “Denaro” particolarmente suggestivo, quasi un presagio: nomen omen.

Si è scatenata la caccia ad amanti o presunte tali che trasmettono un’idea di potenza sessuale. Donne prigioniere del segreto, che non potevano parlare, non potevano raccontare, alle quali è forse parso di entrare in una trama romanzesca. Si è analizzata attentamente la sua biblioteca per indagarne i gusti letterari e dedurne gli indirizzi culturali e le inclinazioni ideologiche. Ne fanno parte alcuni testi di scrittori classici, molti romanzi storici e alcune biografie, che hanno particolarmente attirato l’attenzione perché potrebbero offrire indizi sui modelli che l’hanno ispirato nel definire la propria identità. Ci sono Putin, ovvero il potere politico, e Escobar, ovvero il potere malavitoso, Mengele, il genocida sfuggito alla cattura, Ilda Boccassini, l’inquirente che aveva incontrato; altre scelte appaiono più eccentriche: Agassi, ovvero come si costruisce un campione, Fabrizio Corona, immagine trasgressiva di un ribelle maledetto.

La sparizione, con le sue suggestioni fascinose, l’ha aiutato a costruirsi un Sé onnipotente, che riesce a incutere rispetto e paura pur in assenza, anzi grazie al mistero che ne dilata l’immagine minacciosa e inafferrabile. A costruirla abbiamo contribuito un po’ tutti, attraverso una narrazione orale cui ciascuno ha aggiunto un pezzo, fino a fare di lui il protagonista di una vita da romanzo. La mancanza del corpo ingigantisce l’ombra e lo si è potuto immaginare abitare dimore trasformate in fortini inespugnabili, sullo sfondo di paesi esotici o nel cuore di metropoli internazionali, frequentare locali esclusivi in compagnia di donne seducenti a conferma del carattere di maschio alfa, impegnato a ordire stragi e ad effettuare colossali operazioni finanziarie.

La sua dimensione è stata l’eccesso: di crudeltà, di orrore, di spettacolarizzazione

Certamente ha goduto di complicità e di una rete protettiva che gli ha permesso di vivere indisturbato per anni, ma credo che la gran parte degli abitanti di Castelvetrano siano sinceri quando dicono di non aver avuto alcun sospetto. Era il mito che si era e che gli avevano cucito addosso a proteggerlo. I suoi bravi compaesani non sapevano figurarselo dietro l’angolo, in un alloggio anonimo, arredato in modo dozzinale, al supermarket, con i sacchetti della spesa in mano, seduto al bar sotto casa a bere il caffè, magari parlando di calcio con gli altri avventori, infine nelle sale d’aspetto dell’ospedale a condividere con pazienti colpiti dallo stesso male, paure e speranze.

Visto da vicino poco rimane del fascino perverso che circondava l’uomo

Non pretendiamo di averne penetrato il segreto, questo solo possiamo dire: la mediocrità di una vita quotidiana grigia che sembra emergere delude le aspettative di identificare in lui il genio del crimine, l’interprete di un superomismo delittuoso di cui tanto a lungo si è favoleggiato. Ancora una volta, invece di scrutare nell’abisso della malvagità umana, ci siamo trovati di fronte la banalità del male. La sola realtà certa è il fiume di sangue versato e il fiume di denaro disperso in infiniti rivoli di corruzione e di malaffare.

Psicologo e psicoterapeuta. Fondatore e responsabile scientifico di Fondazione Lighea Onlus*