Cronache
Grecia invasa dai campi profughi. Mappa



Hotel, benzinai, porti, celle e fabbriche
IL REPORTAGE DI AFFARI/ Dalle stazioni di benzina agli hotel. Dal porto del Pireo ai centri di detenzione. Dalle fabbriche abbandonate agli stadi olimpici. Rifugiati: la mappa della disperazione greca
di Lorenzo Lamperti - @LorenzoLamperti
Stazioni di benzina, alberghi, fabbriche abbandonate, capannoni industriali, spiagge, porti, centri di detenzione, aeroporti in disuso, persino stadi olimpici. La mappa dei campi profughi in Grecia è ampia e variegata. Lo sgombero di Idomeni non ha fatto altro che distribuire ancora di più la disperazione sul territorio greco. Molti di questi campi esistevano già ma ora gli 8400 profughi sgomberati da Idomeni stanno andando a ingrandire quei campi che erano sorti tra Salonicco e Atene, alimentando ancora di più le tensioni in luoghi dove le condizioni sono spesso oltre il limite della decenza.
L'AREA DI SALONICCO - Il nord della Grecia è quello che ospita il maggior numero di profughi. Il motivo è molto semplice: i rifugiati non vorrebbero restare in Grecia. Il loro desiderio è raggiungere altri paesi europei. La stragrande maggioranza di loro vorrebbe andare in Germania. Lì molti hanno parenti o amici. Altri vorrebbero andare in Italia, Francia o Svezia. Ma la realtà è che starebbero ovunque gli fosse permesso restare a condurre un'esistenza normale. Lo sgombero di Idomeni ha concentrato un gigantesco numero di profughi nei diversi campi della zona di Salonicco, a pochi chilometri dal confine, ora blindato, con la Macedonia. A pochissime decine di metri dallo spettrale campo di Idomeni è sorto un campo di fronte all'Hara Hotel, tipico albergo di frontiera, ultima sosta di coloro che dalla Grecia passavano in Macedonia. Si trova su una strada a scorrimento veloce. Il parcheggio e la stazione di benzina antistante l'hotel è diventato una costellazione di tende, così come una buona fetta dei campi circostanti. Qui sono arrivati moltissimi profughi respinti da Idomeni. Tanti di loro provano quasi ogni giorno ad attraversare il confine affidandosi ai trafficanti. La situazione è molto difficile. Nessun riparo dal sole, solamente una decina di bagni chimici per centinaia di persone disperate, prive di qualsiasi informazione sul proprio futuro. Un gruppo di volontari catalani prova a far divertire i bambini del campo con qualche gioco di gruppo ma l'atmosfera è tesa. Qui restano quelli più determinati ad attraversare il confine. La vicinanza a Idomeni gli dà l'illusione di avere il proprio sogno a portata di mano.
A una manciata di chilometri di distanza, a Polykastro, c'è il campo conosciuto come Eko Station. Si tratta di un grande campo spontaneo recintato intorno a una stazione di benzina. Qui si trovano tantissime famiglie: siriani, afghani, palestinesi. Le condizioni non sono certo idilliache ma l'atmosfera è più rilassata rispetto ad altri campi. Il bar della stazione di servizio resta in funzione, ma con prezzi molto più alti della media. Vista la situazione, i proprietari hanno deciso di tramutarsi in un supermercato a uso e misura dei rifugiati con torce per le tende e altri oggetti potenzialmente utili. Ma il costo di acqua e latte è spesso troppo alto per persone che hanno speso fino a 5 mila euro a testa per arrivare in Europa.
Sull'autostrada che unisce il confine macedone a Salonicco sorgono diversi altri campi. Molti di questi sono nuovi e blindatissimi. Si tratta di campi governativi e militari dove l'accesso ai giornalisti è vietato e quello ai volontari è seriamente limitato. Nell'area industriale di Salonicco ce ne sono 4 in rapida successione. Quello che è nato per primo è il campo di Diavata. Centinaia di famiglie sono ammassate in container e strutture di laminato. I bambini qui sono tantissimi e giocano sulle pietre intorno alle loro nuove case numerate che non sanno quando potranno lasciare. A Oleokastro una squadra di militari davanti all'ingresso impedisce l'ingresso a chiunque non viva del campo, così come a Sindos o a Softex. Questi due campi sono gli ultimi nati, insieme a quello di Alexandria, per accogliere i profughi sgomberati da Idomeni. Qui le condizioni sono davvero difficilissime. Entrambi i campi si trovano all'interno di capannoni industriali, appartenenti a fabbriche fallite e abbandonate dopo la crisi. Molti profughi raccontano che all'interno manca completamente acqua e le razioni di cibo non bastano, così come gli spazi all'aperto sono praticamente del tutto assenti.
LESBO - Lo scenario è drammatico anche a Lesbo, l'isola che rappresenta la prima frontiera europea per quei migranti che partono dalla Turchia arrivando dai paesi del Medio Oriente. Nonostante l'accordo tra Unione Europea e Turchia, gli sbarchi continuano. I numeri sono infinitamente minori, ma comunque la media è di circa 200 arrivi alla settimana. L'isola è diventata una sorta di bolla o di ecosistema a sé. Tutti quelli che arrivano vengono portati a Moria, ex campo militare più simile a un carcere che non a un centro di accoglienza. La stragrande maggioranza di chi arriva resta lì dentro, in condizioni disumane. I casi più vulnerabili, come i malati o le famiglie o le madri single, vengono trasferiti nel vicino campo di Kara Tepe, nel quale si trovano tutte le associazioni umanitarie internazionali e le condizioni, fermo restando i tantissimi problemi, sono infinitamente migliori. Durante il giorno i profughi hanno la libertà di muoversi per l'isola, che sta subendo in maniera drammatica le ripercussioni di questa situazione sotto il profilo del turismo.
L'AREA DI ATENE - Nelle ultime settimane molti profughi si spostano, o cercano di spostarsi, verso Atene. Nonostante la capitale della Grecia sia molto più lontana dal confine rispetto a Salonicco il motivo è duplice. Da una parte la nascita di campi spontanei nei quali i rifugiati possono avere la sensazione di sentirsi più liberi. Ma il secondo e preoccupante motivo è quello della presenza massiccia di trafficanti e criminali. Nei campi di Atene è facilissimo imbattersi in qualcuno che offre l'attraversamento dei confini per qualche centinaio di euro anche se in realtà non sono in tanti quelli ad avere i soldi necessari. Il campo più grande è quello nato al porto del Pireo. In corrispondenza di uno dei gate maggiormente in disuso dell'immenso complesso portuale ateniese, un migliaio circa di profughi si è ammassato in un vecchio edificio sporco e cadente. Centinaia di tende all'interno e all'esterno, con bambini che giocano sul ciglio del canale portuale, senza nessun riparo dal sole che è sempre più cocente. Ma il simbolo del fallimento greco è il grande campo della città olimpica. L'aeroporto di Elliniko, costruito per le olimpiadi del 2004, è diventato un grande campo profughi governativo. Pochi medici cercano di fare quello che possono per curare i tantissimi malati, fisici e psicologici, sperando di evitare la diffusione di epidemie. Il campo ha la sua naturale prosecuzione nei circostanti stadi olimpici di hockey su prato e basket. Spogliatoi, campi di gioco e tribune sono occupati da centinaia di rifugiati. Un panorama desolante, per i rifugiati costretti in condizioni drammatiche e per la Grecia stessa, passata in 12 anni dal sogno olimpico all'incubo del fallimento economico, sociale e morale.