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Bambina rapita a Cosenza, l'"acting-out", l'ultimo stadio di un'ossessione

Che cosa si nasconde dietro i meccanismi mentali che hanno portato al gesto quasi inumano di una donna che rapisce una neonata. L'analisi

di Cristina Brasi

Bambina rapita a Cosenza, ecco che cosa spinge una donna a compiere un gesto così grave

La vicenda della bambina rapita a Cosenza ci deve far riflettere su cosa spinga una persona, una donna, ad un gesto simile, quasi inumano che nasce dentro la psiche umana e da una ossessione, in questo caso quella della maternità.

In alcuni casi un’ossessione, correlata a una psicosi o a un disturbo mentale, può portare all’acting-out. Con esso andiamo a identificare il passaggio da un pensiero di natura deviante alla messa in atto dello stesso. Un fattore psicopatologico che sembra facilitare la comparsa di sintomi psicotici e favorire la trasformazione dei pensieri ossessivi in idee deliranti è rappresentato dalla presenza di un ridotto insight, ovvero di una scarsa o nulla consapevolezza della propria malattia mentale e dei suoi sintomi. I pensieri, le emozioni e i comportamenti vengono percepiti come normali.

Questa riduzione di consapevolezza, nel caso specifico, riguarda prevalentemente gli impulsi e le rappresentazioni coatte, ovvero quei pensieri, quegli impulsi e quelle immagini intrusive che si manifestano nel soggetto cagionandogli ansia e disagio. Sarebbe proprio una condizione clinica di scarso insight a favorire la trasformazione delle ossessioni in convinzioni deliranti operando una progressiva destrutturazione dei poteri della critica individuale. In questa maniera l’inquietudine provocata dal dubbio viene trasformata in certezza facendo sì che le domande angosciose abbiano una risposta che non consente alternative. L’effetto è quello di una falsa condizione di controllo.

Spesso il Disturbo Ossessivo Compulsivo si presenta in comorbilità con il Disturbo Schizotipico di Personalità con l’effetto di dar luogo a un’adesione completa e acritica alle convinzioni coatte irrazionali, aumentando nettamente il rischio di sviluppare deliri.

In alcuni casi il delirio assume un significato difensivo che nasce dalla necessità dell’individuo di dare una spiegazione all’enormità di un’impasse che si manifesta con un’angoscia scarsamente comprensibile di cui egli non si sa più capacitare. In altre parole, attraverso meccanismi proiettivi di tipo paranoideo, il soggetto identificherebbe la minaccia come proveniente dall’esterno, in modo tale da difendersene più facilmente che non quando, come nell’ossessione, essa deriva dall’interno.

In alternativa, i sintomi deliranti e la scarsa consapevolezza del soggetto nei confronti delle idee e degli impulsi coatti potrebbero semplicemente rappresentare l’espressione clinica evidente della profonda alterazione a carico dei meccanismi psichici che presiedono alla strutturazione del pensiero e del giudizio critico. In altre parole, i deliri e i sintomi ossessivo-compulsivi vissuti con scarso insight convivrebbero come risposte di adesione dell’Io a convinzioni estranee, bizzarre e irrazionali, le quali porterebbero l’individuo a lottare non più “contro” le sue idee, ma “per” e “con” le sue idee.

Quando i sintomi ossessivi si dimostrano per lo più freddi, destando poca risonanza emotiva, poca ansia e sono descritti dai soggetti in modo distaccato, come se stessero assistendo da spettatori passivi a qualcosa che accade nel campo di coscienza indipendentemente dalla loro volontà e dal loro controllo, avviene l’acting-out. Ciò viene reso possibile dal fatto che non viene opposta sufficiente resistenza nell’agire verso le proprie condotte compulsive. Inoltre, il distacco emotivo e la freddezza, consentirebbero anche una pianificazione dell’azione.

*Cristina Brasi è psicologa, criminologa, esperta del linguaggio del corpo