Cronache

Open Arms: in arrivo il verdetto della Corte di Palermo per il ministro Salvini. Che cosa può succedere

La sentenza su Open Arms, simbolica del dibattito sulle migrazioni in Italia, arriva entro fine anno

di Maria Luce

Open Arms: in arrivo il verdetto della Corte di Palermo per Matteo Salvini

Un Natale giudiziario per Matteo Salvini. La sentenza su Open Arms, simbolica del dibattito sulle migrazioni in Italia, arriva entro fine anno. Al centro la decisione, l’ex Ministro dell’Interno che il 2 agosto 2019 negò lo sbarco a 147 migranti, lasciando la nave ONG spagnola Open Arms bloccata nelle acque di Lampedusa. La decisione di Salvini fu superata da un’ordinanza dal Procuratore di Agrigento Patronaggio, che il 20 agosto autorizzò lo sbarco e sequestrò la nave. La vicenda trova ora il suo epilogo in Procura a Palermo, dove è stato aperto un fascicolo con la doppia accusa formulata contro l’ex capo del Viminale, per sequestro di persona (art. 605 c.p.), aggravato dallo status di pubblico ufficiale e dal danno contro i minori e rifiuto di atti d’ufficio (art. 328 c.p.). Come si è arrivati a tanto?

Il diritto: “la Costituzione – spiega Vincenzo Maria Scarano dello studio Tosato artt. 2-10-11– rimanda al diritto consuetudinario, alle convenzioni internazionali e al diritto dell’Unione Europea.

(Regolamento UE n 656 del 2014, art. 4, Solas, Safety of Life at Sea e SAR, Convenzione su Search and Rescue). Si tratta di norme, in particolare, che trovano applicazione quando ci sia un caso di pericolo di vita in mare, cosiddetto safety.

Ma è pur vero – prosegue – che il Decreto Sicurezza bis (D.L. 53/2019), applicato dall’ex capo del Viminale è previsto sempre dalla Costituzione (art. 117), che conferisce allo Stato il potere di prendere decisioni in tema di sicurezza e di ordine pubblico, cosiddetto security”.

Si tratta di due fonti - le norme sulla safety e quelle sulla security - di pari rango, previste dalla Costituzione per tutelare valori diversi.

In caso di pericolo di vita di esseri umani, deve sempre prevalere il diritto che tutela la safety sulle norme interne di security. Ma questo accade solo nel momento in cui si accerti che vi sia l’effettivo pericolo di perdita di vite in mare.

“Nel caso Open Arms, spiega l’avvocato, si è venuto a creare un cul de sac, per via della diversa interpretazione della situazione concreta, che l’ex capo del Viminale avrebbe dato della situazione a bordo di Open Arms, consultandosi con la vigilanza operativa, (ndr. Guardia Costiera).

In caso di conflitto nell’applicazione delle due leggi, a tutela di valori diversi, interviene di solito la Corte Costituzionale, ma nell’immediatezza dell’evento, anche l’autorità amministrativa competente si trova chiamata a fare il bilanciamento dei due interessi. Stabilendo nel caso specifico, quali norme debbano prevalere, sulla base dell’analisi della situazione concreta”.

I fatti: Per comprendere meglio la vicenda, bisogna ripercorrere le tappe di quel 2 agosto 2019, quando è stata spiccata la richiesta di identificazione di un porto sicuro (cd. POS o Place of Safety) da parte della ONG Open Arms. La nave aveva effettuato, in acque libiche, operazioni di rescue, trasbordando migranti da natanti poco sicuri.

La ONG riceveva quello stesso 2 agosto un diniego di sbarco dall’Italia, con un provvedimento ministeriale MIT; Ministero della Difesa; Ministero dell’Interno.

“L’attivazione dell’emergenza di safety - spiega l’esperto di diritto internazionale – avviene quando l’imbarcazione è impossibilitata a proseguire il viaggio per causa di forza maggiore.

Prendendo come esempio il caso di un intervento in zona SAR italiana, è la stessa imbarcazione in panne che ha invia un SOS, chiamando il numero 1530. Da quel momento viene attivata la Guardia Costiera, che verifica la situazione e l’effettiva situazione di pericolo, grazie alle coordinate fornite dal natante, che per legge dev’essere dotato degli strumenti di geo-localizzazione e dunque coordina le operazioni di soccorso.

Ma così non è stato nel caso della Open Arms, che, secondo le cronache dell’epoca, ha effettuato in autonomia la prima tappa dell’operazione di “rescue” in zona SAR libica, per allertare, ad operazione di salvataggio effettuata, le autorità vicine – escludendo la Libia, lo Stato da cui i rifugiati volevano fuggire – chiedendo un “Place of Safety” a Malta, Spagna, Italia.

Quando la ONG ha inviato la richiesta di aiuto, l’emergenza di safety si era già conclusa positivamente, avendo la nave spagnola caricato tutti i migranti partiti con natanti sciagurati; tanto che stava organizzando la seconda tappa del viaggio, alla ricerca di un porto sicuro.

Operazione che non è certo che fosse coperta dalle norme internazionali, mancando il dato del pericolo di vita imminente. Di sicuro è mancato un coordinamento internazionale per garantire l’operazione di sbarco alle vittime di tratta, viste le modalità con cui sono state messe a rischio di vita. L’operazione, secondo l’interpretazione data dal governo italiano, ha meritato l’applicazione delle norme di sicurezza e di ordine pubblico.

“L’ex Capo del Viminale – spiega l’avv. Scarano – avrebbe potuto dare ordine di scortare la ONG ad un porto designato ed aprire un processo, per verificare se vi fossero le ipotesi di reato che si celano spesso dietro il naufragio dei natanti inadeguati, usati ai danni dei migranti, da parte di chi li attrae in una trappola che costa loro la vita. Molte persone si allontanano dalle coste patrie in cerca di fortuna, diventano vittime del reato di tratta degli esseri umani, in balìa di chi organizza questi viaggi della speranza, programmando fin dall’inizio un naufragio in mare”.

In effetti, secondo fonti istituzionali marittime, si tratta di un pattern che si ripete: superate le prime 50 miglia, il natante, caricato oltremodo di persone e sprovvisto del carburante sufficiente, è privo di stabilità idrostatica e di una minima speranza di trarre in salvo i passeggeri, mettendo consapevolmente a rischio di vita gli esseri umani a bordo.

“A carico delle Ong – prosegue l’avvocato dello studio Tosato – si dovrebbe accertare se non vi sia stato favoreggiamento, laddove le operazioni di rescue siano state previste e programmate, con la loro ipotetica collaborazione”.

La vicenda Open Arms non ha avuto fortunatamente un epilogo infausto perché il prefetto di Agrigento Dario Caputo ha coordinato, da terra, le misure di emergenza per la sicurezza pubblica, mentre il Procuratore della Repubblica Luigi Patronaggio ha ordinato lo sbarco, il 20 agosto, dopo essere salito sulla nave e verificato le condizioni dei migranti, da giorni in mare.

Ma fino al 15 agosto la ONG era ancora in acque libiche e solo dopo la sospensiva emanata dal Tar del Lazio, (che rendeva inefficace il divieto di sbarco del governo Salvini), si è avvicinata al porto di Lampedusa. Decisione – sia pure arbitraria, del capitano della ONG – che ha consentito al Procuratore Patronaggio di asseverare la situazione di “safety” a bordo.

Il discrimine, dunque, per la decisione dei giudici di Palermo, è ora il tempo: da quando si deve considerare che esistesse a bordo, una condizione di pericolo di vita, che avrebbe meritato l’applicazione delle norme sulla safety al posto di quelle di security? Quando si è formato il comportamento antigiuridico del Vice Premier Salvini?

“Di sicuro – conclude l’avv Scarano – si tratta di situazioni difficili, da gestire: come fai sbagli”.