Cronache
Pietro Maso uccise i genitori ma nel 2019 percepiva il Reddito di cittadinanza
La condanna l'ha reso interdetto dai pubblici uffici in perpetuo eppure incassava il sussidio statale, ma l'avvocato frena: "Potrebbe non esserci malafede"
Pietro Maso e il Reddito di cittadinanza
Pietro Maso, l'uomo che nel 1991, quando era ancora un ragazzo, uccise i genitori per incassarne l’eredità, ha percepito il reddito di cittadinanza nel 2019. La notizia è riportata dal settimanale Oggi. Dopo le verifiche, il sussidio potrebbe però essere stato sospeso, considerato che il 49enne, proprio a causa della sua condanna, è stato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici.
Secondo la legge, gli unici condannati che non possono godere di "pensioni, assegni e stipendi a carico dello Stato" sono quelli che hanno precedenti penali per reati legati alla criminalità organizzata, al terrorismo o per truffa ai danni dello Stato. Maso, tornato in libertà dal 2013, non rientra in queste categorie ma, a causa della gravità del reato che ha commesso e per cui è stato condannato a 30 anni di carcere, è stato ugualmente interdetto dai pubblici uffici in perpetuo, come ha poi confermato il suo avvocato, Marco De Giorgio.
Il legale, che però non ha seguito direttamente la vicenda, ritiene che il sussidio, se concesso in passato, potrebbe essergli stato sospeso proprio per la gravità della sua vicenda giudiziaria. De Giorgio ha aggiunto però che, affinché Maso sia perseguito penalmente, si dovrebbe dimostrarne la malafede, che non è detto ci sia stata: l’uomo potrebbe aver saputo delle limitazioni alla concessione del sussidio solo dopo i controlli a campione che hanno stabilito che il reddito di cittadinanza non gli spettava.
Pietro Maso, l’omicidio
Aiutato da tre amici, il 17 aprile 1991, nella sua casa di Montecchia di Crosara uccise entrambi i suoi genitori, Antonio Maso e Mariarosa Tessari, a colpi di spranga, al fine di appropriarsi della sua parte di eredità. Venne arrestato il 19 aprile 1991 e poi condannato definitivamente a trent'anni di carcere, con il riconoscimento della seminfermità mentale al momento del fatto.
Dopo averne trascorsi ventidue da detenuto, è stato rimesso in libertà nel 2013. Successivamente è stato ricoverato in clinica psichiatrica dal marzo 2016. Ai suoi complici, Giorgio Carbognin e Paolo Cavazza, è stata inflitta una pena di ventisei anni, mentre al minorenne Damiano Burato una pena di tredici anni.