Ponte sullo Stretto, lo Stato non ha soldi - Affaritaliani.it

Cronache

Ponte sullo Stretto, lo Stato non ha soldi

Prima di parlare del Ponte sullo Stretto di Messina bisogna mettere in chiaro due cose: il ponte è utile e non si farà, almeno non in tempi prevedibili. È tuttavia interessante che, per dimostrarne l’opportunità, il nostro Primo Ministro abbia detto che l’opera creerebbe centomila posti di lavoro, e contribuirebbe dunque seriamente al rilancio dell’economia nazionale.

Per l’economia classica, un’opera è utile quando rende più di quanto costa. Facciamo l’ipotesi che il ponte costi cinque miliardi e poi, nel giro di dieci anni, si possa essere sicuri di incassarne 5,5 in pedaggi (profitto del 10%). In questo caso si può star sicuri che quei capitali ce li metterebbero volentieri gli investitori nazionali e internazionali. E allo Stato il ponte non costerebbe un euro. Poiché però lo Stato non realizza il ponte, è segno che gli investitori non sono pronti a pagarlo tutto da sé, e ciò dimostra a sua volta che il quantum della spesa è aleatorio e il rientro incerto. Soltanto lo Stato potrebbe rischiare. Ma non ha i soldi per quest’opera. Potrebbe farlo soltanto emettendo una sorta di assegno a vuoto, cioè con un semplice aumento del debito pubblico, a cui però l’Europa non consentirebbe. Del resto, il rischio ci sarebbe quand’anche disponessimo ancora della lira, perché una crisi di fiducia delle Borse riguardo alla nostra solvibilità ci metterebbe a rischio default. Dunque – seguendo l’economia classica – del ponte non se ne parla.

Ma Renzi non l’ha proposto per far un piacere ai siciliani, l’ha proposto perché potrebbe creare molti posti di lavoro. Il ponte infatti si può prendere a modello delle opere ipotizzate da John M.Keynes, come stimolo alla ripresa di un’economia: una spesa utile per la nazione. Dunque sarebbe l’ideale, in un momento come l’attuale, e non si vede perché non si corra a cominciare i lavori.

Il Ponte sarebbe una manna per l’economia come la concepiva Keynes – cioè un’economia fondata sulla spesa dei consumatori piuttosto che sulla produzione di ricchezza. Anche se non si vede come si possa comprare una ricchezza che non è stata ancora prodotta, salvo che con denaro falso. Ma attualmente non discutiamo di questo. Secondo Keynes si innescherebbe questo meccanismo: si costruisce il ponte → si creano centomila posti di lavoro → si distribuiscono centomila salari → che si trasformano in altrettante spese delle famiglie dei lavoratori → creando una forte domanda di beni la quale →rilancia l’economia, compensando la spesa iniziale del Ponte. Si tenga presente che questa operazione, per lo stesso Keynes, era congiunturale, da adottare per crisi momentanee: infatti male che vada, cioè se l’opera pubblica è inutile, il vantaggio della manovra deriva dalla spesa delle centomila famiglie, per il rilancio dell’economia. Purtroppo il principio, se ha funzionato talvolta, non ha funzionato molte altre volte e al contrario, dal momento che è stato percepito come un incoraggiamento alla spesa facile, non ha fatto prosperare l’economia e ci ha condotti al debito pubblico attuale e all’interminabile crisi.

Renzi non ci dovrebbe informare del beneficio della creazione di centomila posti di lavoro, perché questo beneficio – secondo Keynes – potrebbe ottenerlo anche pagando i lavoratori perché se ne stiano a casa. Ma bisognerebbe spendere cinque miliardi che non abbiamo, aumentando il debito pubblico di altrettanto, e per un risultato futuro e molto incerto.

Ecco perché il Ponte non si farà. La sua indubbia utilità per la velocità dei collegamenti fra il continente e la più grande regione italiana si tradurrà in un “ritorno” economico in un arco di tempo molto lungo, e in tanto l’Italia si potrebbe permettere questa spesa in quanto si possa anche permettere di essere economicamente “sotto” per trent’anni. Insomma il Ponte, rappresentando una grande scommessa sul futuro, andava fatto nel momento delle vacche grasse. Nelle condizioni attuali non abbiamo la necessità di ridurre a cinque minuti la traversata dello Stretto, ma quella di non affondarci.

E lo dice uno che a volte, per passare lo Stretto, ha fatto la fila con l’automobile per un’ora o più, sotto il sole estivo.

Gli investimenti dello Stato sono utili quando dànno un utile, come tutti gli investimenti. Ma gli investimenti dello Stato non lo danno sostanzialmente mai. Tanto vale limitarsi a quelli istituzionalmente a fondo perduto, come la costruzione di scuole, carceri e ospedali. E soltanto quando sono strettamente necessari.

È vero che attualmente si pone il problema del risarcimento richiesto dalle ditte incaricate di costruire il ponte. E si parla di cifre vicine al miliardo. Dunque quell’opera almeno eviterebbe spese inutili. Un Paese serio o decide di realizzare un’opera – e la realizza – o decide di non realizzarla, ma non dopo che ha incaricato delle imprese. Ma questo, direbbe Massimo D’Alema, soltanto se il Paese è “normale”.

Gianni Pardo

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