Reggio Emilia,liberi i quattro ostaggi.Si è arreso dopo 7 ore il sequestratore
Amato la scorsa settimana era stato condannato a 19 anni nel maxi processo alla ‘ndrangheta in Emilia Romagna
È uscito dall’ufficio postale di Pieve Modolena alle 16.45, scortato dagli uomini dell’Arma mentre una ventina di persona tra cui i suoi familiari lo applaudivano, dopo un sequestro durato quasi otto ore. Francesco Amato si è arreso ai carabinieri e i suoi quattro ostaggi, tutti dipendenti dell’ufficio, sono stati liberati e sono incolumi. Intorno alle ore 9 di questa mattina, armato di un coltello da cucina con il manico bianco, Amato ha fatto irruzione all’interno delle Poste della frazione di Reggio Emilia. Ha fatto uscire i clienti e poi, gridando “vi ammazzo tutti“, ha preso in ostaggio quattro donne e un uomo, compresa la direttrice. “Sono quello condannato a 19 anni in Aemilia“, le parole che ha usato per presentarsi. Agli uomini dei carabinieri, arrivati sul posto, per tutto il giorno ha chiesto, tra le altre cose, di poter parlare con il ministro dell’Interno Matteo Salvini.
Amato la scorsa settimana era stato condannato a 19 anni nel maxi processo alla ‘ndrangheta in Emilia Romagna. Destinatario di un ordine di carcerazione, era irreperibile fino all’azione di questa mattina. “Su di me non ci sono prove, 19 anni di carcere per niente. Ci sono i testimoni che dimostrano che io non c’entro niente. Adesso voglio parlare con il ministro dell’Interno e il ministro della Giustizia: ma mi interessa soprattutto il ministro dell’Interno”, ha ripetuto Amato raggiunto al telefono dalla Rai durante il sequestro.
La mediazione condotta dei carabinieri è continuata per tutto il giorno con l’obiettivo di riuscire a liberare gli ostaggi attraverso il dialogo. “Qua ci sono 4 dipendenti: vogliono fare un assalto? Io ho adesso il coltello puntato su un impiegato. Se loro si permetto a entrare qua dentro io faccio male a questa povera persona che stava lavorando”, ha detto Francesco Amato alla Rai. Stesse parole che ha ripetuto più volte al carabiniere che che, sulla soglia dell’edificio, ha fatto da tramite con Amato durante tutta la trattativa. “Non ti mettere a minacciare”, è stata la risposta del militare dell’Arma. Secondo quanto riferito a ilfattoquotidiano.it, al sequestratore era stato proposto di parlare con il capo di Gabinetto di Salvini, ma ha rifiutato. Poco dopo si è arreso.
Un'azione dimostrativa contro una condanna ingiusta. Sarebbe questo il motivo che ha spinto Francesco Amato. Lo ha spiegato un fratello di Amato, giunto sul posto, durante le trattative con le forze dell'ordine. Si tratta di un familiare che non è stato imputato nel processo Aemilia. Sono vari i familiari del bandito radunatisi all'esterno delle Poste. "Diciannove anni sono un'ingiustizia che fa ribollire il sangue - dice la nipote - e lui è questo che vuole dire col suo gesto, del quale non so nulla e che sicuramente è sbagliato. Ma non è andato dentro per far del male. Vuole una riduzione della pena. ". All'uscita, la donna ha rivolto applausi e frasi di scherno agli agenti: "E' colpa vostra, è colpa dei giudici"
Francesco Amato, 55 anni, è stato condannato il 31 ottobre a 19 anni e un mese di reclusione nel processo Aemilia, con l'accusa di essere uno degli organizzatori dell'associazione 'ndranghetistica. E' originario di Rosarno, in provincia di Reggio Calabria. Fu arrestato, nell'ambito dell'operazione "Aemilia", il 28 gennaio del 2015. Assieme al fratello Alfredo, secondo i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Bologna era "costantemente in contatto con gli altri associati (e della famiglia Grande Aracri) in particolare per la commissione su richiesta di delitto di danneggiamento o minaccia a fini estorsivi, commettendo una serie di reati".
In passato, peraltro, era incappato in analoghe inchieste giudiziarie contro la 'ndrangheta cutrese in Emilia, come quelle denominate "Grande Drago" e "Edilpiovra". Insieme ad altri suoi congiunti, tutti originari del Reggino, Amato aveva costituito un sodalizio che veniva considerato il braccio armato della cosca Grande Aracri.
Nel 2016, all'inizio del processo, lo stesso Amato aveva affisso un cartellone provocatorio davanti al tribunale di Reggio Emilia, scritto a pennarello e pieno di invettive. Amato si era autodenunciato poi in aula definendosi l'autore di quel cartellone in cui, diceva, "era anche contenuto il nome dell'autore delle presunte minacce al presidente del tribunale di Reggio Emilia Cristina Beretti", per le quali sono state arrestate nelle scorse settimane due persone, tra le quali un sacerdote.
Commenti