Terremoto, funerali solenni ad Amatrice
Il Vescovo: a uccidere è la mano dell'uomo
Un lungo elenco di nomi. Il vescovo di Rieti Domenico Pompili, comincia così le esequie solenni delle vittime di Amatrice e di Accumoli. Con un appello di vite spezzate, nomi e cognomi di un terremoto che ha sbriciolato il centro del Paese.
Le bare sono arrivate tre ore prima che iniziasse il rito, alle 15, portate a spalla dai volontari sotto una pioggia battente che non ha mai smesso di cadere. Le hanno disposte dietro l'Istituto Don Minozzi. Delle 242 vittime finora accertare tra Amatrice e Accumoli, dovevano essere 38 i feretri presenti oggi. Ma dieci sono rimasti al cimitero del piccolo paese. Delle 28 bare arrivate da Rieti, due sono bianche e piccole. Sopra hanno dei peluches.
La distruzione di Gerusalemme, la descrizione di polvere e pezzi che cadono, il tempio che crolla. Non c'è retorica nelle parole del vescovo, che risuonano forti, nuove scosse. "I terremoti esistono da quando esiste la terra. I paesaggi, le montagne, tutto è dovuto ai terremoti. Neanche l'uomo esisterebbe senza i terremoti, il terremoto non uccide. Uccidono le opere dell'uomo", dice mons. Pompili. Il suo è un invito a guardare avanti, non a chiedersi dov'era Dio quando la terra tremava.
"Dio non può essere utilizzato come il capro espiatorio" continua "al contrario, si invita a guardare in quell'unica direzione come possibile salvezza. In realtà, la domanda 'Dov' è Dio?' non va posta dopo ma prima e comunque sempre per interpretare la vita e la morte". Perché, prosegue, "va evitato di accontentarsi di risposte patetiche e al limite della superstizione. Come quando si invoca il destino, la sfortuna, la coincidenza impressionante delle circostanze".
Un'omelia breve, intensa, forza per continuare, oltre le polemiche, sopra le pietre. La ricostruzione non dev'essere "una 'querelle politica' o una forma di sciacallaggio di varia natura, ma deve far rivivere una bellezza di cui siamo custodi".
Dietro il vescovo, oltre l'altare, lo scorcio di un tetto crollato. E dietro ancora, gli alberi, gli Appennini. Sono arrivati a migliaia per la messa funebre. Chi doveva assistere da fuori si è protetto sotto la struttura. Tutti sono bagnati di pioggia, di lacrime, con gli ombrelli aperti, rossi, bianchi, colorati. Il vescovo chiede di restare, di continuare ad arrivare. "Disertare questi luoghi sarebbe ucciderli una seconda volta" dice il monsignore. E "non basteranno giorni, ci vorranno anni. Sopra a tutto è richiesta una qualità di cui Gesù si fa interprete: la mitezza. Un coinvolgimento tenero e tenace, un abbraccio forte e discreto, un impegno a breve, medio e lungo periodo".
Il crocifisso della chiesa che i cittadini di Amatrice avrebbero voluto oggi ai funerali, è seppellito sotto le macerie. Ne hanno avuto uno diverso, preso da un'altra frazione, pende al lato del capannone, sembra volare. Un Cristo senza croce, un paese senza case. C'è ancora troppo sotto le rovine. "Come si ricava da un messaggio in forma poetica che mi è giunto oltre alle preghiere: 'Di Geremia, il profeta, rimbomba la voce: 'Rachele piange i suoi figli e rifiuta di essere consolata, perché non sono più'. Non ti abbandoneremo uomo dell'Appennino: l'ombra della tua casa tornerà a giocare sulla natia terra. Dell'alba ancor ti stupiraì", conclude.
Come per il rito funebre che sabato 27 si è svolto ad Ascoli, oggi sono arrivati il presidente Sergio Mattarella, il premier Renzi e i presidenti di Camera e Senato Laura Boldrini e Pietro Grasso. Con loro anche il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, la sindaca di Roma, Virginia Raggi e il presidente Anci ed ex sindaco di Torino Piero Fassino.