Ubi, storia e antistoria del processo di Bergamo. I protagonisti
Mercoledì prossimo comincia il processo a Ubi Banca
Ubi, il 25 luglio parte il processo a Ubi Banca
Il 25 luglio si avvicina sempre di più. Sarà quello il giorno in cui a Bergamo comincerà il processo con l'accusa di ostacolo alla vigilanza a carico di Ubi Banca (candidata a diventare il terzo polo bancario italiano) e di altri trenta imputati, tra i quali l'amministratore delegato Victor Massiah, il presidente Andrea Moltrasio, il presidente emerito di Intesa Giovanni Bazoli e sua figlia Francesca, i vicepresidenti Mario Cera, Flavio Pizzini e Armando Santus. I dubbi e i risvolti del caso (dove si parla di banche ma non di crac finanziari), come spiegato da Affaritaliani.it, sono molti.
Le due anime di Ubi Banca
Per capire meglio la situazione, in vista della prima udienza occorre ancora una volta fare un passo indietro. Sulla vicenda c'è infatti una storia, quella del presunto ostacolo alla vigilanza e delle presunte indebite influenze sulla formazione dell'assemblea del 2013, e anche un'antistoria, cioè quello che avviene prima del processo, con una sfida per conquistare poltrone sfociata poi in esposti, denunce e nell'inchiesta dei pm di Bergamo. Ubi Banca, come noto, nasce dall'unione di due anime: quella bergamasca di Banca Popolare di Bergamo e quella bresciana di Banca Lombarda. Alla base c'è il principio di pariteticità, quel principio alla base dei patti fondativi che garantisce il bilanciamento tra queste due anime, rappresentate da una parte da un nutrito gruppo di imprenditori bergamaschi del quale fanno parte famiglie storiche della vita economica della città e dall'altra in particolare dalla figura di Giovanni Bazoli.
La figura di Bazoli
Ed è soprattutto su Bazoli, anche dal punto di vista mediatico, che si costruisce la "storia" dell'indagine su Ubi. In diversi articoli di giornale si mettono in risalto diversi elementi. Le consulenze alla figlia di Bazoli, Francesca, vicepresidente di Ubi Leasing nel 2012, ma anche il legame con Intesa Sanpaolo, istituto del quale Bazoli Sr. è presidente onorario. In particolare, finisce nel mirino la gestione di un pacchetto di azioni di Intesa portato in Ubi dalla parte bresciana nel 2007. Alcune ricostruzioni hanno parlato di una cifra intorno ai due miliardi di euro anche se in realtà si sarebbe trattato di una partecipazione di circa 825 milioni dettata da ragioni storiche, derivanti dalla partecipazione di alcune delle banche che hanno dato vita al Gruppo Banca Lombarda e Piemontese al salvataggio del Banco Ambrosiano Veneto nel 1982. L'ex direttore generale Giuseppe Masnaga (dimessosi nel 2012 dopo che emerge il fatto che aveva creato una lista di opposizione in vista dell'assemblea del 2013), parlando con i pm di Bergamo, sostiene che nello stesso periodo anche Ubi Banca avesse deliberato essa stessa un aumento di capitale. "Le risorse provenienti da tale aumento di capitale furono impiegate in gran parte per la sottoscrizione dell'aumento di Intesa Sanpaolo". Stando al bilancio 2011, risulterebbe comunque che Ubi partecipò all'aumento di capitale di Banca Intesa con cifre lontane da quelle dell'aumento di capitale realizzato da Ubi nello stesso 2011, con un'operazione che ridusse il valore medio di carico della partecipazione.
Il nodo "prova di resistenza"
Bazoli ha parlato per la prima volta delle indagini il 9 marzo 2018 con delle dichiarazioni spontanee al gup di Bergamo. "Sfido a dimostrare che il mio fine non è stato esclusivamente il bene della banca. Nessuno potrà mai dimostrare l'indimostrabile: che io abbia agito per fini personali", dichiara. Il 23 marzo 2018 il pm Fabio Pelosi replica: "Siamo di fronte a un gruppo bancario di dimensione nazionale, le cui scelte strategiche venivano assunte anche da chi non avrebbe potuto, come il professor Bazoli che ricopriva il ruolo di presidente del gruppo bancario Intesa Sanpaolo, società in concorrenza con il gruppo Ubi". Pm che, nella discussione iniziale in merito alla contestazione di illecita influenza sull'assemblea, aveva dichiarato: "Poi c'è il problema della prova di resistenza, ma lì signori, io qui, ecco sull'ultroneo, va benissimo se è un reato di evento, ma se è un reato di evento non ci sarà fatta la prova di resistenza, l'evento, ma c'è il tentativo (...) poi si dovrà discutere se idoneo, non idoneo, ma ex ante". Il riferimento è al calcolo matematico dei voti con la cosiddetta prova di resistenza che secondo la difesa dimostrerebbe che la lista di Moltrasio avrebbe raggiunto comunque la maggioranza anche al netto dei voti contestati. Le parole del pm lasciano intendere che si parli di "tentativo" di modificare la maggioranza assembleare, anche se la fattispecie di reato richiederebbe comunque la prova dell'avvenuta alterazione. Al processo si capirà, ovviamente, che cosa accadde davvero e se ha ragione l'accusa o la difesa.
Scatole finanziarie e holding bergamasche
Ma per avere un quadro più completo è utile anche capire l'"antistoria", cioè quello che accade prima dell'inizio delle indagini. Nel 2008 e nel 2009 i giornali infatti sono pieni di articoli sui movimenti delle holding bergamasche su Ubi. I grandi azionisti bergamaschi si organizzano in diverse scatole finanziarie per raccogliere le azioni di Ubi. Dietro l'iniziativa c'è un nutrito gruppo di imprenditori locali capitanati da Miro Radici e del quale fanno parte tra gli altri Alberto Bombassei, la famiglia Zanetti, il gruppo Percassi e altri. L'allora presidente di Ubi Emilio Zanetti, promuove la strategia delle scatole azionarie. All'epoca si chiarisce che non sarebbe stato superato la quota di 0,5% del capitale previsto dalla legge anche se c'è chi adombra, come il Corriere Economia del 17 marzo 2008, la possibilità di un ipotetico take over o di un piano di scalata interno alla compagine sociale.
Le liste di Jannone e Masnaga
Tra le figure attive all'epoca nel'iniziativa bergamasca c'è anche Giorgio Jannone. Figlio di Michele, ex impiegato di banca autore di un successo finanziario con l'opa del Credit Lyonnais sul Credito Bergamasco, Giorgio Jannone è un ex parlamentare di Forza Italia prima (eletto nel 1994, 2001 e 2006) e del Pdl poi (eletto nel 2008), esperienze nelle quale stringe rapporti con Giuseppe Vegas (che nel 2010 diventerà presidente della Consob) e Giulio Tremonti. Nel 2008 presenta anche una possibile riforma delle banche popolari che prevede la loro trasformazione in banche a statuto speciale. Dopo aver partecipato alle assemble di Bpu prima e di Ubi poi fonda dunque l'Associazione Azionisti di Ubi Banca nel 2011 e critica l'aumento di capitale dello stesso anno. La sua intenzione è quella di entrare nel board di Ubi perché si considera la persona giusta per il rinnovamento. Nello stesso momento anche l'allora direttore generale Giuseppe Masnaga pensa di candidarsi all'assemblea, e si organizza dando corpo alla creazione di una lista in concorrenza con quella del Consiglio di Sorveglianza uscente da presentare all'assemblea 2013. Il fatto emerge nel 2012 e Masnaga, che poteva contare su circa quattromila voti, si dimette. La lista da lui creata sarà poi capeggiata dal professor Andrea Resti.
Sarà proprio dagli esposti delle liste sconfitte che partirà poi l'inchiesta della procura di Bergamo e quella della Consob guidata da Vegas, le cui sanzioni ai dirigenti Ubi vengono annullate dalla Corte d'Appello di Brescia nel giugno 2017. Vedremo che cosa accadrà in tribunale in una vicenda legata a presunti illeciti, denunce e poltrone mancate.