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Palermo, blitz contro lo storico clan Borgo Vecchio: 20 fermi tra cui il boss

L'operazione "Resilienza" contro la famiglia mafiosa Borgo Vecchio, riuscita grazie alla collaborazione delle vittime del racket

Palermo, fermate 20 persone del clan Borgo Vecchio per associazione per delinquere di stampo mafioso

All'alba nella città di Palermo l'operazione "Resilienza" ha portato i carabinieri del comando provinciale all'esecuzione di venti fermi nella famiglia mafiosa Borgo Vecchio. Tra i fermati, Angelo Monti, nuovo boss, colui che ha rimesso in piedi il clan dopo che nel 2017 era stato già duramente colpito. Contestati i reati di associazione per delinquere di tipo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, associazione per delinquere finalizzata ai furti e alla ricettazione, tentato omicidio aggravato, danneggiamento seguito da incendio, estorsioni consumate e tentate aggravate, danneggiamento aggravato, furto aggravato e ricettazione. 

Mafia, nuovo blitz contro il clan Borgo Vecchio grazie all'aiuto delle vittime

Le vittime del racket sono stati cruciali per l'indagine grazie alle loro denuncie, in gran parte delle quali per estorsioni. L'indagine, coordinata da un gruppo di sostituti diretti dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca, costituisce un'ulteriore fase di della manovra condotta dal Nucleo Investigativo di Palermo sul mandamento mafioso di Palermo Porta Nuova e, in particolare, sulla famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, che ha consentito di dimostrare la vitalità della cosca nonostante il colpo inflitto nel novembre 2017.   

Dopo il duro colpo ricevuto dalla famiglia mafiosa nel 2017, Angelo Monti ha riorganizzato il clan per un controllo del territorio serrato

Il nuovo reggete Angelo Monti ha riorganizzato gli assetti del clan, affidando posizioni direttive ai suoi uomini di fiducia, individuati nel fratello Girolamo, Giuseppe Gambino, che aveva il compito di tenuta e di gestione della cassa della famiglia, di controllo dell'andamento delle attività illecite e di filtro tra lo stesso Angelo Monti e il gruppo operativo; Salvatore Guarino, già condannato in via definitiva, si avvaleva di Giovanni Zimmardi, Vincenzo Vullo e Filippo Leto per organizzare e commettere le estorsioni nei confronti dei commercianti e degli imprenditori operanti nella zona di riferimento; Jari Massimiliano Ingarao (nipote di Angelo Monti) che ricopriva il ruolo di referente, per conto dell'organizzazione mafiosa, nel settore del traffico di sostanze stupefacenti. Per tale scopo Jari Ingarao era supportato dai fratelli Gabriele e Danilo.    Ricostruiti l'intero organigramma della famiglia mafiosa e le attività di controllo del territorio e di ricerca del consenso sociale; di 'assistenza economica' verso le famiglie degli affiliati detenuti e dei diversi metodi di finanziamento (estorsioni, traffico di droga e reati contro il patrimonio). Documentate le infiltrazioni nel tessuto economico del territorio,le ingerenze nel mondo del tifo organizzato del calcio palermitano, esercitate attraverso il controllo di cosa nostra dei gruppi ultras locali.    Le indagini, sottolineano gli investigatori, restituiscono uno spaccato caratterizzato dal capillare controllo del territorio da parte dell'organizzazione mafiosa, anche attraverso la continua ricerca del consenso verso un'ampia fascia della popolazione: "I mafiosi, infatti, continuano a rivendicare, con resilienza, una specifica funzione sociale, attraverso l'imposizione delle proprie decisioni per la risoluzione delle più diverse problematiche: dai litigi familiari per motivi sentimentali alle occupazioni abusive di case popolari o agli sfratti per mancati pagamenti di affitti al proprietario di casa".    Pesante, ad esempio, l'ingerenza nell'organizzazione delle celebrazioni in onore della patrona del quartiere, Madre Sant'Anna, del 21-28 luglio 2019. Le serate, animate da alcuni cantanti neomelodici, venivano organizzate da un comitato che, di fatto, era controllato da Cosa nostra.

Mafia a Palermo, grazie all'estorsione la famiglia  Borgo Vecchio organizzava le feste patronali

I mafiosi, infatti, sceglievano e ingaggiavano i cantanti e, attraverso le cosiddette 'riffe' settimanali, raccoglievano le somme di denaro tra i commercianti del quartiere. Tali somme venivano impiegate, oltre che per l'organizzazione della festa e l'ingaggio dei cantanti, anche per rimpinguare la cassa della famiglia mafiosa ed essere, in tal modo, utilizzate per il sostentamento dei carcerati e per la gestione di ulteriori traffici illeciti. Gli attuali esponenti di vertice della famiglia mafiosa, avendo il pieno controllo del comitato organizzatore della festa patronale, decidevano quali cantanti neomelodici dovessero partecipare alla manifestazione, provvedevano al loro ingaggio mediante il denaro ricavato dalle estorsioni, dalle riffe e dalle sponsorizzazioni dei gestori-titolari delle attività commerciali ubicate sul territorio, autorizzavano i commercianti ambulanti a vendere i loro prodotti durante la festa, disciplinando anche la loro collocazione lungo le strade del rione.      Non è tutto. I capi gravitavano anche sullo stato Renzo Barbera, benchè questa ricada nel territorio di confine fra i mandamenti mafiosi cittadini di Resuttana e San Lorenzo-Tommaso Natale.

Mafia, interesse del clan anche per i  gruppi ultras

Forte l'interesse affinché i contrasti fra gruppi ultras organizzati del Palermo fossero regolati secondo le loro direttive, evitando scontri fra ultras all'interno della struttura sportiva, ritenuti da un lato dannosi per lo svolgimento delle competizioni e dall'altro fonte di possibili difficoltà per uno storico capo ultrà rosanero, elemento di contatto fra Cosa nostra e il variegato mondo del tifo organizzato cittadino. 

Non solo feste e calcio ma anche traffico di sostanze stupefacenti

Una presenta asfissiante nel territorio, dunque. Per questo appare significativa la ribellione al pizzo: su un totale di 22 episodi specifici, ben 13 casi sono stati scoperti grazie alle denunce autonome degli operatori economici, mentre ulteriori 5 episodi sono stati ricostruiti autonomamente grazie alle indagini, ma poi confermati pienamente dalle vittime. Fonte di guadagni anche traffico di sostanze stupefacenti. Angelo Monti aveva delegato l'intero settore criminale al nipote Jari Ingarao, il quale, sebbene fosse sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, riusciva a organizzare e coordinare tutte le attività, a reperire le sostanze stupefacenti, principalmente dalla Campania, e a rifornire le varie piazze di spaccio del quartiere delegando, a seconda dei ruoli, i fratelli Gabriele e Danilo Ingarao che si avvalevano di un gruppo di indagati a cui è stata contestata l'associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga; gli esponenti della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio intervenivano, in alcuni casi, anche nella gestione e nel controllo dei furti di motocicli e della loro successiva restituzione ai legittimi proprietari, attraverso il cosiddetto metodo del cavallo di ritorno.