Cronache
Verdiglione, un altro caso Tortora. Racconto di 7 anni di processo
di Armando Verdiglione
Il 18 novembre 2008 arriva la Guardia di Finanza nelle nostre sedi amministrative, operative, redazionali e commerciali di Milano e di Senago. Il pretesto è la verifica della società Villa San Carlo Borromeo srl, proprietaria dell’omonima Villa, restaurata con cura straordinaria in venticinque anni e che, provvista di 4180 opere d’arte e di antiquariato, è sede turistico-congressuale per grandi aziende internazionali, banche, compagnie di telecomunicazione, case automobilistiche, di moda, multinazionali dell’energia, istituti scientifici, centri pubblici e privati, ma è anche sede di convegni e congressi di carattere scientifico, artistico, editoriale e finanziario organizzati dalle istituzioni da me fondate.
I modi, i gesti, le esclamazioni, l’euforia si doppiano su insinuazioni, sospetti, pregiudizi, affermazioni gratuite sul restauro, sull’arte, sui libri, sui manifesti dei congressi. I marescialli non mirano affatto a una verifica fiscale, eseguono un piano pantoclastico in un quadro demonologico. Prendono documenti di qualsiasi tipo di ventitré società e di decine di associazioni e fondazioni, nonché documenti personali di professionisti e di collaboratori. L’interesse inquisitorio, espresso al massimo dell’erotismo in una costante parata falloforica, è per il “personaggio”, anzi per il fantasma del personaggio, quello che consente le grandi somme utili agli obiettivi di budget periodico della caserma. Tutto viene portato in una stanza, visitata da loro per ventiquattro giorni, fino al 5 febbraio 2009.
I nostri professionisti e io dichiariamo subito la disponibilità a rispondere, a chiarire, a spiegare, a documentare. Ma né a me né a nessun altro viene rivolta alcuna richiesta. Non segue nessun contraddittorio. La parola viene tolta. Il 5 febbraio 2009 la verifica s’interrompe.
Arrivano il 24 marzo 2009 in cinquanta siti della Lombardia, dell’Emilia Romagna, del Veneto, del Friuli: case private, sedi di società, di associazioni, di centri culturali, editoriali, artistici, d’istituti scientifici. Sequestrano tutto. Diffondono il terrore fra collaboratori e interlocutori bancari, imprenditoriali, istituzionali. Poi spariscono.
Ritornano alla fine di maggio 2011: sequestro delle due ville (Villa San Carlo Borromeo e Villa Rasini Medolago), dissequestrate quindici giorni dopo dal Tribunale del riesame. All’occasione (11 giugno 2011) fanno un comunicato ufficiale con un titolo: Operazione guru. Era chiaro dall’inizio: non hanno mai avuto interesse per la verifica fiscale, non hanno mai fatto una verifica fiscale. Il loro interesse era sorretto dal fantasma del guru, per loro non “persona seria“ come in India, ma “stregone”.
Il fantasma di possessione della strega si fonda sul fantasma di padronanza dell’inquisitore. La materia intellettuale diviene materia demoniaca, fittizia, falsa, criminale: libri, arte, laboratori della dissidenza, brainworking, servizi intellettuali alle aziende, congressi scientifici internazionali in tutto il mondo, formazione, processo di valorizzazione delle imprese, il museo vivente.
Il nostro professionista, il 19 settembre 2009, con un furgone, porta negli uffici della Guardia di Finanza un materiale immenso con le prove documentali e descrittive della veridicità delle fatture. Erano le 8,30. Tutto il materiale viene posto in una stanza, dove sta, ammassato e confuso, tutto il resto dei materiali sequestrati.
Non hanno bisogno di leggere nulla. Non hanno letto né verificato nulla. Non hanno periziato nulla: né gli ingenti lavori di restauro della Villa San Carlo Borromeo né i beni. Non hanno nemmeno verificato l’esistenza delle opere d’arte, dei prodotti editoriali artistici, dei libri. Non hanno verificato la corrispondenza tra fatture e flussi finanziari. Non hanno disposto né eseguito nessuna perizia fiscale, patrimoniale, amministrativa. Bastava a loro seguire il fantasma: “Tutto sarebbe vero e veritiero, se non ci fosse il dominus, il guru”. E allora società, servizi, istituzioni, centri scientifici, case editrici, servizi intellettuali: tutto è finto.
Non importa la verità, ma il verosimile. Non importa la prova, ma il probabile. La loro interrogazione è chiusa: ha già la risposta fondata sul fantasma. Nessuna parola. Nessuna prova. Soltanto il fantasma. Il fantasma dell’accusa di stregoneria. La loro volontà è benefica. La volontà dello stregone è malefica. Invidia sociale. Invidia antintellettuale. Vendetta. Orgia erotica che tutto distrugge, tutto annienta: le strutture, le società, le associazioni, la libertà, la salute, la vita. E tutto è permesso a tutti: linciaggio, sciacallaggio, cannibalismo. Sette anni di stato di assedio, di massacro. Con un solo obiettivo: il sacrificio umano, la vittima. Il fantasma dell’accusa è fantasma di pulizia etnica antintellettuale. Il cerimoniale è gnostico: la creazione dell’inferno in cui collocare persone e cose a propria immagine e somiglianza, l’incenerimento, la renovatio, la rigenerazione sotto la scintilla della salvezza della comunità ideale. L’informativa della prima ora redatta dalla Guardia di Finanza è ricalcata dal Processo verbale di constatazione, ricalcata dal rinvio a giudizio, ricalcata dalla requisitoria.
Anche al maresciallo e al pubblico ministero non servono né la parola né la scrittura. Rappresentano, anzi, l’afasia e l’agrafia. Al maresciallo e al conseguente pubblico ministero bastano il pregiudizio, il fantasma, su cui fondano l’economia del sangue.
L’ignorantismo è la migliore garanzia della religione della morte, nella sua orgia distruttiva e salvifica, la migliore garanzia della passione tanatologica dell’inquisitore, la migliore garanzia dei funzionari e dei professionisti della morte.
Nel mese di dicembre 2012, i giudici hanno rinviato gli atti alla Procura, impossibilitati a fare il processo per l’indeterminatezza dell’accusa. Un anno dopo, la pubblica accusa presenta l’elenco di fatture emesse. Ancora indeterminatezza. Ma il processo si tiene. E non prova per nulla l’accusa. L’accusa, ancorché pubblica, mantiene il suo fantasma, il dominus, il guru, cui togliere ormai anche la vita. E cancella il processo, cancella le prove, le uniche, quelle contrarie. E ricalca l’informativa della Guardia di Finanza. Ricalca il fantasma. Partecipa con un supplemento di passione neurologica. Il 31 marzo 2015, i giudici mi concedono di fare le dichiarazioni spontanee. Io tocco, nel dettaglio, ogni aspetto del processo. Altrettanto fa, da parte sua, Cristina Frua De Angeli. Altrettanto fanno altri. Ma nulla entra nella requisitoria. Nessun atto del processo. Nessuna testimonianza. Nessun documento, pure essenziale. All’accusa, pubblica, basta il fantasma. L’unico che possa produrre la vittima, il sacrificio umano. Io non accetto il ruolo di vittima. Mi è stato tolto ormai tutto. Ma resto combattente.
Questi sette anni sono stati oltre ogni strazio, contro ogni diritto, contro ogni legge. Io li considero come un immenso investimento, benché costretto all’immobilismo e alla paralisi. Io combatto per valorizzarli. Combatto “contro ogni speranza”. L’idea di riuscire è assoluta. L’idea opera per la riuscita, mentre il fantasma dell’accusa agisce.
Come editore ho pubblicato migliaia di libri. Come autore, qualche centinaio, quasi sempre tradotti in altre lingue. Ho organizzato, in questi anni, congressi rivoluzionari secondorinascimentali in ogni paese del mondo, da New York a Tokyo, da San Pietroburgo a Londra, da Parigi a Gerusalemme, da Lisbona a Lubiana, da Roma a Cordova, da Barcellona a Venezia, da Ginevra a Francoforte, da Milano a Mosca, e altrove. Ciascuna volta, l’incontro di coloro che avevano novità in ogni settore della scienza, della poesia, dell’arte, della cultura, della politica, dell’economia, della filosofia. Ho instaurato dispositivi intellettuali nelle imprese, nelle famiglie, nelle istituzioni. Ho contribuito all’instaurazione del numero della vita e del suo capitale.
La mia ambizione intellettuale è questa: contribuire alla civiltà con un granello di sabbia. I giudici, tre donne, tra poco emetteranno la sentenza. Io ancora spero e confido. Sono sicuro che, come giudici, non possono accettare il montaggio fantasmatico dell’accusa. Non possono accettare la morte intellettuale.