Culture

250 anni fa nasceva Beethoven, il genio indiscusso della musica classica

di Chiara Giacobelli

In occasione dell’anniversario della nascita, Affari Italiani intervista Saverio Simonelli, autore del libro “Cercando Beethoven” appena uscito per Fazi Editore

Sono passati due secoli e mezzo da quando uno dei più grandi geni della musica fece il suo ingresso in questo mondo. Eppure, Ludwig van Beethoven sembra non essersene mai andato: egli vive tra noi attraverso la sua straordinaria musica, ispirazione per molti, fonte di studi e racconti per altri.

Tra questi, c’è anche il giornalista e scrittore Saverio Simonelli, da sempre appassionato di musica classica. È grazie a lui se di recente è arrivato in libreria “Cercando Beethoven”, pubblicato da Fazi Editore in occasione dell’anniversario. Si tratta di un romanzo che, a partire dalla figura sempre un po’ sfuggente e complessa di Beethoven, racconta una storia di amore, passione, mistero, finendo per attrarre il lettore in una trama coinvolgente ricca di avvenimenti.

Affari Italiani ha intervistato l’autore per saperne di più sulla genesi di questa opera e sull’uomo che ci ha donato emozioni indimenticabili.

250 anni dopo la nascita di Ludwig van Beethoven lo celebriamo come un genio e la sua fama non accenna ad estinguersi. Che cosa, a tuo parere, rende così immortale questo artista, che nel libro è definito “un’anima inquieta, nobile e selvatica insieme”?

“In realtà la definizione è attribuita a un musicista concorrente, Friedrich Himmel, e non rappresenta il punto di vista dell’io narrante, né dell’autore. Quello che posso dire è che Beethoven è un compositore la cui musica è perfetta e totale espressione del suo animo. Una sincerità totale in un’aderenza assoluta al suo io reale, che come per grazia si è riversata intatta nella sua musica. Senza edulcorare o tacere nulla del proprio vissuto, Beethoven ha dimostrato come si possa sublimare il dolore, vincere le avversità ed esprimere un anelito reale e mai retorico alla fratellanza tra uomini”.  

Uno degli aspetti che più ho apprezzato del tuo romanzo è la volontà di far emergere il Beethoven meno conosciuto, grazie anche ad alcuni passi delle sue lettere e del suo testamento. Qui ritroviamo un uomo fragile, compassionevole, buono, ma soprattutto intriso di sofferenza. È così?

“Tutta la sua vita è stata segnata da malanni e infermità: non solo la precoce sordità, ma anche disturbi gastrointestinali e patologie respiratorie. Tuttavia la sua sofferenza è d’ordine spirituale, è il desiderio di essere uomo tra gli altri uomini, di vivere una vita normale pur nella consapevolezza di averla sacrificata all’arte, senza mai poter soddisfare il desiderio di comunione, di una famiglia che non è mai riuscito a costruirsi”.

In un passo del libro scrivi che è “condannato a essere solo. Estraneo al mondo”. Perché Beethoven non riuscì a integrarsi nella società dell’epoca e che cosa lo condannava alla solitudine?

“Bisogna fare un distinguo. Questo è un romanzo. Quindi queste non sono né vogliono essere definizioni, ma le impressioni rielaborate nella scrittura di chi gli è vissuto accanto o ha avuto a che fare con la sua personalità, con i suoi scatti d’ira, le sue fluviali lettere di scuse, gli accessi di rabbia seguiti da altrettanto rapidi pentimenti, ma anche i suoi gesti di straordinaria generosità. Pochi sanno che si recava a casa di amici depressi per consolarli suonando esclusivamente per loro. Ma certo era un essere idiosincratico spesso in polemica coni vezzi del mondo; un uomo, però, pieno di contraddizioni. Il musicista indignato che straccia la dedica dell’Eroica a Napoleone, ma continua a intrattenere rapporti con le alte sfere dell’esercito francese, meditando per diversi anni di andare a vivere a Parigi”.

A partire dal personaggio di Beethoven, il romanzo sviluppa poi una trama autonoma che comprende una storia d’amore, alcuni misteri da risolvere e l’ombra della magia. Da dove è nata l’idea di scrivere questo libro e come si è sviluppata?

“Nasce dalla lettura di una pagina del diario di Franz Grillparzer, futuro estensore dell’elogio funebre di Beethoven, che da ragazzo trascorse un’estate accanto alla dimora di Beethoven, condividendo il ballatoio di un palazzetto nel sobborgo di Heiligenstadt. Poi dal desiderio di raccontare l’uomo al di là del musicista, per cui ho provato a immaginare anzitutto le reazioni che poteva suscitare la sua presenza in un gruppo di giovani imbevuti di idealità e vogliosi di emularne la carriera”.

La musica è la grande protagonista di queste pagine, ma lo è anche la poesia, ad esempio quella di Novalis. Sono entrambe tue passioni?

“Certamente. Se mi occupo di scrittura lo devo all’incontro liceale con i frammenti di Novalis che tengo sempre sul mio comodino. Il libro vuole essere anzitutto un omaggio a una sensibilità più che a una cultura, a un modo di guardare al mondo che fa dell’immaginazione una spinta propulsiva all’agire nel quotidiano, a una categoria dello spirito, il romanticismo, che abbiamo colpevolmente dimenticato, o, peggio ancora, banalizzato, tra baci perugina e sdilinquimenti da soap opera”.

In questo anniversario così importante, che cosa possiamo imparare noi uomini contemporanei da Ludwig van Beethoven?

“Questa dedizione assoluta all’ideale che abbiamo concepito per la nostra vita, la fedeltà alla propria missione, al proprio lavoro, ai nostri affetti. L’idea che la creatività sia qualcosa di concreto, di fisico, perché la sua musica è assolutamente fisica, non un intrattenimento galante o un passatempo intellettuale, ma un’energia che tocca le fibre del nostro corpo e ci spinge a essere migliori”.   

Cercando Beethoven[992]
 


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