Culture
Letteratura, alla scoperta delle sperimentazioni del bulgaro Gospodinov

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LA TRAMA - Un ragazzo è affetto da una strana sindrome: soffre di empatia, è capace di immedesimarsi nelle storie degli altri. Inizia così un viaggio nel mondo del possibile, nel labirinto dei sentimenti mai provati, delle cose mai accadute eppure reali più del reale stesso. Questo “io” coraggioso e impertinente va e viene dal passato, fa incursione in un futuro di cui abbiamo già nostalgia, e ritorna con un inventario di storie sull’autunno del mondo, sui Minotauri rinchiusi in ognuno di noi, sulle particelle elementari del rimpianto, sul sublime che può essere ovunque.
L'INCONTRO AL SALONE DI TORINO:
DALLA BULGARIA, GEORGI GOSPODINOV - LINGUA MADRE
IN OCCASIONE DELLA PUBBLICAZIONE DI FISICA DELLA MALINCONIA
domenica 19.05.2013 18.00 h
Incontro con autore
Organizzatori:
Regione Piemonte
Salone del libro
VOLAND
Istituto Bulgaro di Cultura
Partecipanti:
Di Sora Daniela
Gospodinov Georgi
Marchesini Matteo
POSTFAZIONE
(per gentile concessione di Voland)
di Giuseppe Dell’Agata
Georgi Gospodinov ha sperimentato una ampia gamma di generi di scrittura. Esordisce come poeta con brevi e raffinate raccolte, collabora con altri autori a due mistificazioni che rivisitano polemicamente la tradizione poetica nazionale (Crestomazia bulgara – 1995 e Antologia bulgara - 1998), scrive, con le illustrazioni di Nikola Toromanov, un romanzo a fumetti, L’eterna mosca (2010), raccoglie la memoria storica del periodo ‘socialista’ in Io ho vissuto il socialismo. 171 storie personali (2006) e, insieme a Jana Genova, nel Libro inventario del socialismo (2006). Ha profondamente innovato in campo teatrale con due magnifiche pièces, D.J. (Don Giovanni, ma anche Deejay) e L’Apocalisse viene alle sei di sera. Come storico della letteratura ha scritto una importante dissertazione di dottorato, Poesia e media – cinema, radio e reclame in Vapcarov e nei poeti degli anni ’40 del XX secolo (2005). Interviene su riviste e giornali e per qualche anno ha tenuto una rubrica sul quotidiano “Dnevnik”. È autore di due raccolte di racconti, la più significativa delle quali tradotta in italiano. Fisica della malinconia è il suo secondo romanzo, apparso 13 anni dopo Romanzo naturale, tradotto in 19 lingue, capofila di una testura frammentaria, intertestuale e postmoderna, anche se addolcita da un non trascurabile tasso sentimentale. Fisica della malinconia è stata scritta durante vari soggiorni dell’autore all’estero; cominciata in Germania e continuata in Austria, le ultime due parole, “io fummo”, sono state apposte a Spalato, la città di Diocleziano. In un’intervista l’autore dichiara che la chiave interpretativa della generale tonalità del romanzo è offerta dalla sua sensazione di una generale Tăga-malinconia, che lo pervade già da alcuni anni e afferma: “Viviamo in un’epoca di perdita di senso e di una incerta paura. Una paura lenta”.
In patria il romanzo ha conosciuto uno straordinario successo di vendite e la prima traduzione portata a compimento, tra le molte previste, è quella italiana che viene qui presentata. La diversità e mescolanza dei generi (l’autore attribuisce al suo alter ego Gaustìn la frase “I generi puri non mi interessano. Il romanzo non è ariano”), non riesce
però a nascondere la continuità della riflessione e dei procedimenti creativi dello scrittore che è sempre alla ricerca di sé stesso, del suo “io” in perenne trasformazione, del passato, il cui grumo fondante è imperniato sull’infanzia. In questo romanzo il tema dominante della prima parte consiste in un’ipertrofica espansione dell’“io” che, grazie a quella che viene diagnosticata al narratore come “empatia patologica o sindrome ossessiva empatico-somatica”, si impossessa non solo dei ricordi, delle sofferenze e delle gioie dei nonni, dei genitori e conoscenti, ma anche di quelli di personaggi della mitologia, per estendersi sempre di più verso l’identificazione con tutto il creato, animali, piante e persino minerali. Una cornice narrativa, di grande contenuto emotivo e di audacia e libertà formale, collega con estremo rigore l’inizio (“Prologo”) e la fine del testo (“Epilogo”). Il “Prologo” annuncia i temi principali:
Sono nato alla fine di agosto del 1913 come creatura umana di sesso maschile… Sono nata, come drosofila, due ore prima del sorgere del sole. Morrò stasera dopo il suo tramonto… Sono nato il 1° gennaio del 1968 come creatura umana di sesso maschile. Ricordo fino all’ultimo dettaglio tutto il 1968 dall’inizio alla fine. Non ricordo nulla dell’anno in cui viviamo ora. Non so neanche che anno sia…
Sono sempre stato nato. Ricordo ancora la grande Glaciazione e la fine della Guerra Fredda… Non sono ancora nato. Sono imminente. Sono a meno sette mesi. Non so come si calcola questo tempo negativo trascorso nelle viscere. Sono grosso, sono grossa (non sanno ancora di che sesso sono) come un’oliva, peso un grammo e mezzo… Sono nato il 6 settembre del 1944 come creatura umana di sesso maschile. Tempo di guerra. Dopo una settimana mio padre è partito per il fronte… Mi ricordo di esser nato come rovo di rosa canina, pernice, ginkgo biloba, lumaca, nuvola di giugno (il ricordo è assai breve), fiore autunnale turchino di croco intorno a Halensee, ciliegio precoce gelato da una tarda neve d’aprile, come neve che ha gelato l’ingannato albero di ciliegie…
per concludersi con l’audace sintagma “IO SIAMO”.
L’“Epilogo” riprende specularmente tutti i temi enunciati nel “Prologo”: Sono morto (partito per l’Ungheria) alla fine di gennaio del 1995, come essere umano di sesso maschile di 82 anni. Non so la data esatta. La cosa migliore è morire d’inverno, quando c’è meno lavoro, per non creare difficoltà. Sono morta in quanto mosca del vino all’imbrunire. Il tramonto del giorno (della mia vita) era bellissimo. Sono morto il 7 dicembre del 2058 come essere umano di sesso maschile. Non ricordo nulla di quell’anno. In compenso ricordo ogni giorno dell’anno in cui sono nato, il 1968. Sono sempre stato morto. Ed è stato sempre buio. Se la morte è buio e assenza di altri… Ancora non sono morto. Sono imminente. Ho meno tre mesi. Non so come si calcola questo tempo negativo trascorso nelle viscere. Qui è buio e comodo, sono attaccato a qualcosa che si muove. Tra tre mesi passo dall’altra parte. Alcuni chiamano nascita questa morte. Sono morto il 1° febbraio del 2026 come essere umano di sesso maschile. Mio padre diceva che la cosa migliore è morire d’inverno, gli ho ubbidito. Per tutta la vita ho fatto il veterinario. Una volta sono stato in Finlandia… Ricordo di esser morto come lumaca, rovo di rosa canina, pernice, ginkgo biloba, nuvola di giugno (il ricordo è assai breve), fiore autunnale turchino di croco intorno a Halensee, ciliegio precoce gelato da una tarda neve d’aprile, come neve che ha gelato l’ingannato albero di ciliegie… IO FUMMO.
Con la fine dell’infanzia cessa l’empatia, che viene sostituita dal bisogno di un insaziabile accumulo di testimonianze e notizie di ogni tipo che il narratore raccoglie nello scantinato in varie casse. Al controllo e alla conservazione dell’informazione sono dedicate pagine molto divertenti, che vanno dai progetti della NASA alle imitazioni in salsa bulgara, volute dalla dirigenza živkoviana, incapsulate e destinate ad essere aperte in
un futuro nel quale il pianeta avrà conosciuto ovunque il trionfo del comunismo. In questa seconda parte si moltiplicano le “storie” narrate, compaiono venditori e compratori delle stesse. Archetipo del narratore è la Sharazád delle Mille e una notte che continua a raccontare per salvarsi la vita. Tra i temi centrali del romanzo troviamo quello del bambino abbandonato, la cui ipostasi è data dal Minotauro, vero e proprio alter ego del narratore, assetato di affetto materno e ingiustamente maltrattato da scrittori di varie epoche e dalla vulgata mitologica. Di qui il tema ricorrente del Labirinto, degli scantinati abitati dalla famiglia, dei corridoi laterali che immettono in memorie altrui.
L’empatia infantile permette, usando con fantasia premesse di fisica quantistica, di essere allo stesso tempo la lumaca che il nonno ingoia viva per combattere l’ulcera e il nonno che la inghiotte.
In una splendida pagina il narratore si appresta, cedendo controvoglia alle insistenze di una giornalista francese, ad inghiottire un’ostrica quando, con un SMS, la moglie gli comunica, dopo tanti inutili sforzi, di essere incinta: “Ho fatto il test. Dice SÌ”. Il narratore, sentendosi come Crono che divora un suo figlio, corre in bagno a vomitare l’ostrica. La presenza del feto, di qualcuno che sta per venire, preoccupa il futuro padre. Lui, ipostasi del Minotauro, si rende conto che chi è in cammino nel ventre della moglie non può essere altri che Teseo, che viene per ucciderlo. L’immedesimazione, in qualche modo panteistica, con tutte le creature e le cose è a sostegno di un dichiarato antiantropocentrismo; il sublime si nasconde ovunque, come nell’episodio di una visita in una città storica bulgara, durante la quale il climax di perfetta e organica bellezza è raggiunto dalla vista di una fumante merda di bufalo guarnita di mosche, spettacolo, commenta l’autore, ormai sempre più raro. Pagine di sorridente malizia sono dedicate al sesso e all’amore all’epoca del ‘socialismo’; in una pagina del “Padrino” di Puzo viene descritto un amplesso acrobatico, che diventa oggetto di culto per una generazione di adolescenti. L’iniziazione amorosa si intreccia alle morti dei Segretari del PCUS:
“Primo bacio a una ragazza. Muore Brežnev. Secondo bacio (a un’altra ragazza). Muore Černenko. Terzo bacio… Muore Andropov. Ma sono io che li ammazzo? Primo goffo amplesso nel parco. Cernobil”.
Un capitolo intero è dedicato infine all’autunno del mondo, a un velo planetario di tristezza e malinconia che si sposta da un continente all’altro e che costituisce appunto la chiave di lettura di tutto il romanzo.