Culture

Italia, il monito di Cassandra

Di Lidia Sella

Economia, cultura e socialità: un attacco sferrato su più fronti. Se non reagiremo, nulla si salverà

In Italia, il 92% del Pil è fornito da piccole e medie imprese, che impiegano l’82% della popolazione attiva. Questo è il cuore della nostra economia. E infatti è stato bombardato in maniera chirurgica. Il recente dietrofront per la riapertura degli impianti di risalita lo testimonia.

Noi Italiani assistiamo impotenti, e imbelli, allo sfacelo. La situazione è drammatica: un incremento del debito pubblico di 160 miliardi, - 12% alla voce export, disoccupazione in aumento (11% entro fine 2021), crollo del Pil del 9,2%. Per gli assassini dell’Italia non si tratta di una sorpresa. Ma di traguardi raggiunti. I despoti del World Economic Forum perseguono obiettivi precisi: decrescita felice, quarta rivoluzione industriale, transumanesimo, patentini vaccinali, forti restrizioni alla libertà personale e sorveglianza di massa. Gli oligarchi cosmopoliti, affetti da deliri di onnipotenza, aspirano a trasformare la Terra in un “Nuovo giardino”, popolato da uno o al massimo due miliardi di schiavi. La popolazione in eccesso andrebbe sfoltita, così da garantire, ai discendenti degli eletti, risorse idriche e nutritive sufficienti.

Per indebolirci ulteriormente, i vampiri del mondialismo succhiano il nostro sangue, quello delle tradizioni. Altrimenti non si spiegherebbero le reiterate aggressioni, da un anno a questa parte, contro socialità, cultura e spiritualità.

Il teatro romano, di matrice etrusca, era un mix di farsa, mimo, parodia, canti e danze, con accompagnamento musicale. In seguito arrivarono le commedie di Plauto e Terenzio, le opere di Seneca, le tragedie di Ennio, Andronico, Pacuvio e altri. Il sipario e il velario, tendaggio per riparare gli spettatori dal sole, furono inventati dai Romani. Analogamente, ai latini, va attribuita la paternità della satira.

Nel XXVII secolo Monteverdi concepì il melodramma. I violìni nacquero in Italia. Mozart usò l’italiano di Da Ponte per tre sue opere: “Don Giovanni”, “Nozze di Figaro” e “Così fan tutte”. Sino a fine Ottocento, in tutto il mondo, per definire le dinamiche musicali, ci si è avvalsi di termini italiani.

La musica e il teatro scorrono nelle nostre vene da millenni. Fungono da collante sociale, poiché ci si commuove, emoziona e sorride insieme. Ciascun popolo si identifica nelle proprie forme d’arte, quasi una cifra impressa sulle maglie dello spaziotempo. L’arte è strumento catartico, riflette un immaginario collettivo, veicola valori etici, suggerisce visioni estetiche. E l’empatia si appanna, dietro a uno schermo. “La digitalizzazione è anestesia”, ha scritto il filosofo coreano Byung- Chul, Han.

Il pubblico in presenza influisce, nel bene o nel male, sull’esito dello spettacolo. La musica dal vivo, in una sala da concerto gremita, induce una comunione che trascende l’individuo. Del resto la vita dell’Homo Sapiens si è sempre svolta all’insegna della condivisione. Non solo nelle parentesi di svago, nella occasioni gioiose, ma anche nel dolore, nella malattia. E dinanzi alla morte. Una peculiarità che i demoni della demoplutocrazia tentano di scardinare, e sovvertire. Il divieto di accudire i nostri cari ricoverati in ospedale, una barbarie che grida vendetta al cielo, lo conferma.

Stupisce che, sull’argomento, la Chiesa non abbia pronunciato una sola parola di condanna. Che fine ha fatto la misericordia cristiana? Esiliare i sentimenti dal raggio dell’esistenza equivale a sopprimere la nostra essenza più sacra. L’essere umano cresce, e matura, attraverso la sofferenza. Immersi un una realtà artificiale, abbiamo perso il contatto con il profondo. Il distanziamento sociale acuisce la solitudine, uccide la dedizione all’altro. Gli affetti sono viceversa la miglior cura contro il mal di vivere.

Non siamo solo corpi. Una psiche sana non può che inorridire di fronte alle misure da dittatura che siamo costretti a subire. Ormai viviamo come se fossimo già morti. Invece è giunto il momento di uscire dai nostri loculi. E difendere dai barbari l’immenso patrimonio della nostra civiltà. A chiedercelo sono Petrarca Leopardi D’Annunzio, Verdi Machiavelli Caravaggio, Michelangelo Leonardo Galileo. Noi dobbiamo risorgere. Subito. Per evitare che loro si rivoltino nelle tombe. Disgustati dalla nostra ignavia e viltà.